L’euro in fumo

“La partita a scacchi dell’Eurozona è entrata nella sua terza e ultima fase. La Germania ne esce vincitrice in tre mosse – Euro, deflazione e acquisti di debito pubblico da parte della BCE (QE) – con cui in questi anni ha saputo massimizzare i suoi profitti e azzerare i suoi rischi di creditore d’Europa.

I rischi della Germania
Proviamo ad analizzare i problemi dell’Eurozona puramente per quello che sono: problemi di interessi contrastanti tra creditori e debitori regolati da domanda e offerta. Nel momento in cui concedi un prestito al tuo vicino puoi andare incontro a tre rischi:
• Che te lo ripaghi in una moneta diversa e magari svalutata se non vi siete messi d’accordo prima su quale moneta utilizzare per la restituzione (rischio di valuta);
• Che con la somma che riceverai indietro ci comprerai meno beni e accumulerai meno patrimonio (rischio di inflazione);
• Che tu non abbia nè il primo nè tanto meno il secondo dei problemi perchè il tuo vicino semplicemente fallirà e quindi perderai tutto (rischio di capitale).

Come lucra la Germania
La Germania e’ l’unico grande creditore dell’Eurozona per circa 600miliardi di euro verso vari paesi soprattutto periferici dell’Eurozona, inclusa l’Italia. L’euro le ha dato questo status invidiabile. Se produci tanto mentre consumi e investi pochissimo tenendo salari e prezzi bassi a casa tua, ti restera’ sempre merce a buon prezzo non consumata nel tuo paese da vendere ai tuoi vicini. E potrai anche lucrare sul credito che loro probabilmente ti chiederanno per poter acquistare i tuoi beni tanto belli e a buon mercato. Questa è la posizione della Germania, un atteggiamento mercantilista che in realtà ha sempre avuto nelle faccende europee sin dal 1870 e che affonda le sue radici nel calvinismo. Vendere e prestare alla periferia d’Europa è stata dunque l’attività economica preferita della Germania quando tutto andava bene, prima della crisi del 2008. Rientrare di tali crediti e tutelarne il potere d’acquisto e’ invece diventato l’unico obiettivo da li in poi. L’euro ha dunque certamente risolto il primo dei rischi di ogni creditore, quello del cambio. Con l’introduzione dell’euro infatti la Germania ha fatto la prima mossa sulla scacchiera e ha potuto aprire il rubinetto dei suoi prestiti all’Eurozona e inondarla delle sue ottime merci, certa di ricevere indietro la stessa valuta forte che prestava. Con lo scoppio della crisi nel 2008 era appunto arrivato il momento per la Germania di fare la seconda mossa e rientrare dei suoi capitali, certa si di riaverli in moneta non svalutata, l’euro appunto, ma con tempi e modi tutti da gestire tra banche al collasso e Grecia prossima al fallimento.

Il controllo dell’inflazione
Controllare il secondo rischio, l’inflazione, diventava dunque prioritario per i tedeschi. L’inflazione infatti fa si che il valore reale del denaro diminuisca nel tempo, proprio quel tempo di cui aveva invece bisogno la Germania per rientrare. Non le bastava dunque riprendersi quei 600 miliardi con cui aveva ‘drogato‘ la periferia d’Europa, il che già sarebbe stato un bell’affare viste le condizioni attuali dell’eurozona. Ingorda invece, la Germania non si è fatta scrupoli dei propri debitori pur di non perderci 1-2% di inflazione che avrebbe dato loro un po’ di respiro. ‘Tutto e subito‘ è stato il motto di Berlino che così dal 2008 non fa altro che comprare più tempo possibile cercando di pagarlo il meno possibile grazie al regime di austerità imposto ai suoi debitori così scaricando su di loro il costo del suo atteggiamento egemone. La Grecia e la deflazione sono appunto due di questi costi.

L’agonia della Grecia
La Grecia era fallita nel 2010 ma riconoscerlo significava imporre perdite pesanti alle banche francesi e tedesche esposte a quel tempo per circa 100 miliardi di euro. Si è preferita invece la lenta agonia del paese sotto la Troika in modo da avere il tempo per trasferire le esposizioni dalle banche private ai fondi di salvataggio europei a cui contribuisce anche l’Italia. Così la Germania ha privatizzato nelle sue banche i guadagni fatti nel fornire steoridi all’economia greca prima della crisi per poi socializzare le perdite ed imporle a tutti i cittadini europei, italiani inclusi, quando il giocattolo si è rotto. Quanto ci è costato questo scherzetto? Non lo sappiamo ancora, dipendera’ dalla trattativa che sta conducendo Tsipras. Abbiamo 40 milardi di esposizione alla Grecia a rischio nel Fondo Salvastati. Se va bene ci sono dai 10 ai 15 milardi di perdite che Deutsche Bank anziche’ imporre ai suoi azionisti nel 2010 ha cortesemente trasferito a noi oggi grazie a Frau Merkel ed al governo Monti di allora.

Il circolo vizioso della deflazione
La deflazione è un costo meno tangibile e quantificabile di quello del fallimento greco ma certamente maggiore. A prima vista la deflazione sembrerebbe ideale: pago meno la merce che consumo e dunque risparmio di più. Il problema è che non calano solo i prezzi ma anche i redditi. Spendo meno ma anche gli altri non comprano quello che io produco quindi guadagno meno e dunque spendo ancora meno. Il circolo vizioso si crea proprio perchè con la deflazione aumenta il valore reale del denaro nel tempo, se ne spende dunque meno rinviando consumi e investimenti. A fronte di un reddito che cala però gli interessi da riconoscere sul proprio mutuo restano invariati e diventano piu’ problematici da corrispondere visto il proprio reddito in calo. E quindi il carico del debito aumenta. Ecco in che modo il nostro rapporto debito / PIL sia andato da 110% nel 2008 a 140% oggi.

Germania “chiagni e fotti”
La BCE è stato il crocevia delle decisioni prese negli ultimi anni tra gli interessi dei creditori e quelli dei debitori. La sostanza è che finora ha stravinto la Germania nel ritardare con la sua seconda mossa sullo scacchiere sia il fallimento della Grecia che l’intervento di acquisti di debito pubblico con moneta nuova di stampa (QE) da parte di Draghi, foriero, si teme in Germania, di inflazione appunto. Abbiamo dovuto attendere l’inflazione in negativo per dare alla BCE la forza di imporre il QE alla Germania, nonostante l’obiettivo dichiarato della BCE sia un’inflazione prossima al 2%. Di nuovo la Germania ha comprato piu’ tempo che ha potuto rendendo l’intervento di Draghi tardivo di almeno due anni e anche per questo destinato all’insuccesso nel suo obiettivo di stimolare la crescita. ‘Meglio di niente, si obiettera‘, intanto ora abbiamo il QE con la Banca Centrale che finalmente puo’ comprare titoli di stato e svalutare l’Euro per il beneficio del nostro export. La Germania per una volta è all’angolo. Non è così. Sarà ancora una volta la Germania a beneficiare dal nuovo corso di Draghi mentre fa finta di lamentarsene sui media di regime in perfetta continuità con l’approccio ‘chiagni e fotti‘ che ha seguito fino ad ora.

La svalutazione dell’euro avvantaggia la Germania
Innazitutto la svalutazione dell’Euro ci dirà tra un anno che la quota di export tedesco rispetto a quello italiano è aumentata. L’Euro aiuta le nostre merci ma ancor di piu’ quelle tedesche. La svalutazione dell’euro non solo non risolverà gli squilibri infra eurozona, ma li aggraverà rendendo più forte chi già lo è. Ma soprattutto con il QE siamo entrati nella terza e ultima mossa della Germania: tutelarsi dal terzo rischio, quello appunto di fallimento dei suoi debitori. Come interpretare altrimenti la mancata condivisione del rischio all’interno del QE? Secondo il programma di Draghi a settembre del 2016 la nostra Banca d’Italia avra’ comprato circa 100 miliardi di BTP con soldi stampati in BCE. Il rischio pero’ su tale acquisto restera’ italiano e quindi quando arrivera’ il default, perche’ avverra’ e lo sappiamo tutti, sara’ il capitale di Banca d’Italia e cioe’ noi a dover coprire la perdita. Ci saranno due modi: o con maggiori tasse o vendendo le nostre riserve auree in Banca d’Italia – ammesso che siano ancora nostre adesso che la Banca d’Italia e’ stata privatizzata e venduta alle banche.

Lo scacco matto della Germania
Il QE dara’ insomma alla Germania il tempo necessario per raggiungere l’ultimo obiettivo che le rimane per lo scacco matto: levarci giurisdizione nazionale su piu’ debito possibile e dunque ridurre il piu’ possibile il suo rischio in conto capitale. Solo il debito emesso sotto giurisdizione italiana e’ ridenominabile in una nuova valuta e quindi in grado di imporre perdite ai creditori esteri, Germania in primis, via svalutazione della nuova moneta di conto. Oggi tale quota e’ circa 93%. Significa che solo il 7%, non piu’ di 150 miliardi di debito pubblico, non e’ ridenominabile e va dunque da contratto rimborsato in euro. Assumendo una svalutazione del 30% implica che il costo dell’Euroexit per l’Italia sul suo debito pubblico non era maggiore di circa 50 miliardi di euro prima del QE. Con il QE di fatto questo numero e’ salito a circa 80 miliardi visto che in caso di fallimento il costo di un haircut diciamo al 30% su 100 miliardi di BTP che comprera’ Via Nazionale graverebbe tutto su di noi. Ristrutturazione del nostro debito o uscita con svalutazione della nuova moneta sono infatti lo stesso rischio di capitale agli occhi del creditore teutonico.
Da adesso in poi dunque l’unica cosa che conterà per noi italiani nella partita ‘creditore contro debitore‘ è non perdere giurisdizione sul nostro debito, mantenendo il diritto di poterlo ridenominare e dunque il beneficio in caso di uscita. L’obiettivo della Germania sarà esattamente l’opposto: levarci giurisdizione sul debito in modo da far aumentare il costo di una uscita per noi a proprio vantaggio, continuando cosi’ a tutelare gli interessi dei creditori, la cosa che sa fare meglio.
Se attendiamo troppo ad uscire dall’Euro la Germania darà scacco matto e dopo aver incassato i benefici del nostro ingresso nell’Euro incasserà anche quelli di una nostra uscita.