Renzie e De Mita, questo o quello per me pari sono

“Scriveva Hegel, in un noto passo della Fenomenologia dello Spirito: «lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l’edificio del suo mondo precedente; lo sgretolamento che sta cominciando è avvertibile solo per sintomi sporadici: la fatuità e la noia che invadono ciò che ancor sussiste, l’indeterminato presentimento di un ignoto, sono segni forieri di un qualche cosa di diverso che è in marcia. Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell’intiero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo». Teniamo bene a mente questa frase.
E ora passiamo a Renzi. Il suo potere oggi sembra assoluto, indivisibile, inseparabile dalla persona del leader con le sue slide, i suoi tweet, gli allenamenti in palestra, le interviste in televisione e ai giornali, le visite nelle città del Belpaese. Segretario di un grande partito, il Pd, e al contempo Presidente del Consiglio: qualcosa del genere riuscì, negli anni tra l’87 e l’89, a Ciriaco De Mita. Perché mi viene in mente proprio De Mita? Perché, a dispetto del fare da avventuriero, dell’aria da “uomo nuovo”, Renzi non è altro che il nipotino di quella politica democristiana, di quel cancro partitocratico che sempre ritorna, si riproduce e parassitario si replica da sempre all’interno della società italiana. De Mita, non a caso, è ancora in circolazione: parlamentare europeo dimissionario, già buon assenteista (non a torto, perché, benché Agnelli lo avesse una volta definito un intellettuale della Magna Grecia – suscitando il commento di Montanelli: «Io però non capisco cosa c’entri la Grecia» -, che diavolo potrebbe fare nel Parlamento Europeo?), oggi è pronto a candidarsi a sindaco di Nusco, suo Paese natale. Certo, oggi è a Nusco, ma una volta De Mita era l’uomo più potente della politica italiana: Craxi sgomitava, ma inutilmente. Il controllo totale, feudale, passava per De Mita: un Re Sole con un maxi-attico a due passi da Fontana di Trevi affittato a equo canone da un ente previdenziale, con una corte perenne di giornalisti suoi intimi – come scriveva Pansa – che andavano a Nusco a giocare a spizzichino, a far pranzo e cena in un fremito continuo di «A’ Cirì, come stai?», «A’ Cirì, dicci qualcosa». Poi il crollo. Ma De Mita non fu sconfitto dalla Sinistra, bensì dal suo stesso partito, dal “grande centro” che lo sostituì con Forlani. I conti si fanno in casa.
Ecco: non crediate che il potere di Renzi sia tanto diverso. Non illudiamoci che sia cambiato qualcosa. Senza dubbio c’è il grande accordo con Berlusconi, l’intesa politica tra Pd e Forza Italia per un nuovo “patto costituzionale”. Ma, dietro questo accordo ce n’è un altro, segreto, tutto interno al Partito: è l’accordo tra Renzi e D’Alema. D’Alema è sempre molto cauto, ma dietro l'”impallinamento” di Marini e Prodi non c’era forse lui? Anche oggi Renzi deve il suo potere al silenzio di D’Alema: bruciato per la corsa al Quirinale ormai il veterocomunista punta alla nomina a Commissario Europeo. E Renzi dovrà pagare questo scotto, ma lo potrà fare solo vincendo le elezioni europee. In caso contrario sarà fatto fuori dal suo stesso partito, esattamente come accadde a De Mita quando volle concentrare tutto il potere su di sé. D’Alema ha fatto saltare Prodi e farà saltare anche lui, se non sarà in grado di metterlo alla Commissione Europea. In più Renzi ha da convincere Berlusconi a rimanergli legato, perché senza il suo appoggio esterno cade il Governo. Anche una vittoria sul filo di lana potrebbe non bastare per Renzi: con solo una manciata di voti in più verrebbe dilaniato dal suo stesso partito, proprio come Bersani. E come fu semplice trovare Letta, non sarà difficile trovare un nuovo Forlani.
Ecco perché queste elezioni europee si sono caricate di un significato politico interno. Oggi però i conti non si fanno solo in casa propria: infatti c’è una forza come il MoVimento 5 Stelle, che è in grado di mostrare «come un lampo, d’un colpo» il lento sgretolarsi di questo potere che da De Mita fino a Renzi ha continuato a vivere parassitariamente nel nostro Paese. Di passaggio in passaggio, dalla Dc al Pd, la partitocrazia giunge finalmente a sgretolarsi. All’epoca di De Mita, il sistema politico andava degradandosi. Oggi assistiamo alla sua decomposizione. Quando, come pare, la latitanza di un condannato in via definitiva viene pagata da un conto corrente della Camera vuol dire che si è toccato il fondo. Non c’è una Nuova Tangentopoli, è sempre la stessa, la stessa corruzione del sistema, che riappare un’ultima volta per essere definitivamente spazzata via dalla nuova forza che arriva. Oggi esiste un movimento che aspira alla guida del Paese. Bloccare questo processo, se esso dovesse vincere le elezioni, porrebbe il Paese di fronte ad una crisi politica dagli esiti imprevedibili. Una vittoria alle europee del M5S sarebbe la riconferma del fatto che la vittoria alle politiche di febbraio è stata tradita e che il colpo di Stato, con cui si è preteso di sostituire la Seconda Repubblica di Berlusconi con la Terza del Presidente della Repubblica, è fallito.
Oggi la lotta è tra Renzi e Grillo, tra quella che sembra la malattia senile del berlusconismo e la forza vigorosa di un giovane movimento che aspira alla guida del Paese. Un anno di opposizione parlamentare ha mostrato una crescita notevole di intelligenza politica e di competenze. E dalle “epurazioni” necessarie ne è uscito rafforzato.
Dopo Tangentopoli è mancata una forza politica in grado di cambiare l’Italia. Berlusconi fu l’uomo sbagliato nel momento giusto. Oggi c’è un’alternativa credibile al marciume esistente.
Certo, le elezioni sono europee e non italiane, ma è impensabile che nelle attuali condizioni politiche non abbiamo conseguenze interne. Se Renzi dovesse perdere non potrebbe che prendere atto del suo fallimento. Napolitano sarà troppo vanitoso per farsi da parte, accettando il crollo del suo disegno politico ed ecco che si farà avanti l’idea di un nuovo governo di unità nazionale, recuperando al suo interno Forza Italia. Insomma, niente dovrà cambiare (salvo il bamboccione incompetente). Ed è per questo che si avverte già nell’aria un nuovo governo di larghe intese: l’eterno ritorno dell’identico. Una cosa è certa però: dopo la vittoria tradita di febbraio, il M5S non potrà accettare una seconda vittoria tradita. Non potrà farlo anzitutto per rispetto verso i propri elettori. A quel punto, dietro la sopravvivenza ormai parassitaria del potere costituito, il potere costituente – il potere sempre presente, il potere originario di ogni costituzione politica – dovrà riapparire: la volontà del popolo dovrà farsi finalmente sentire con una decisione netta, libera e responsabile”.
Paolo Becchi

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