I bambini del Congo

Intervento di Leopoldo Salmaso, specialista in Sanità Pubblica, cooperante con la Tanzania dal 1978

“Premesso che provo grande empatia con le coppie che si trovano bloccate con le loro adozioni in Congo, vorrei precisare alcuni punti, sconosciuti ai più:
1) Nelle culture africane è INCONCEPIBILE che un bambino venga affidato ad estranei, per la semplice ragione che il concetto di FAMIGLIA è allargato non solo ai parenti anche più lontani, ma anche al clan, alla tribù, e in ultima istanza alla nazione intera. In molte lingue africane non esiste neppure un termine corrispondente al nostro “orfano“. Spesso la “zia” si chiama “piccola madre” e per dire “zio” si dice “piccolo padre“. Di regola, i piccoli dopo i due anni sono affidati alla nonna paterna quasi a tempo pieno. In ogni caso, anche il parente più lontano ha una serie di diritti/doveri sul piccolo, tanto da rendere praticamente impossibile, per qualsiasi tribunale, dichiarare l’adottabilità di un minore senza suscitare forte malcontento nella popolazione.
2) Le adozioni internazionali sono disciplinate dalla Convenzione dell’Aja, cui hanno aderito quasi tutti gli stati del mondo TRANNE quelli africani e musulmani, proprio per le ragioni culturali sopra esposte. Eccezioni che confermano la regola sono il Sudafrica e pochi stati affini (dove le leggi sono state fatte dai bianchi dominanti) e la Turchia (che notoriamente è il più laico dei paesi musulmani).
3) Come la stragrande maggioranza degli stati africani la Repubblica Democratica del Congo non ha sottoscritto la Convenzione dell’Aja né un trattato bilaterale con l’Italia in tema di adozioni. Le poche pratiche che pure si fanno in Congo dipendono dai giudici locali, e sono spesso oggetto di forti contestazioni per le ragioni sopraddette. Come se non bastasse, sempre più spesso spuntano da chissà dove parenti più o meno lontani, aizzati da avvocati-avvoltoi che dove vedono una pelle bianca vedono soldi facili.
4) La Convenzione dell’Aja stabilisce due priorità fondamentali: primo: garantire l’interesse del bambino a rimanere nel proprio ambito familiare e culturale. Secondo: combattere lo sfruttamento e la tratta dei bambini. L’adozione internazionale è riconosciuta come “ultima spiaggia” e infatti la convenzione stessa dichiara che l’adozione è nulla se non si è fatto tutto il possibile per garantire le due priorità sovraordinate.
5) La nostra Commissione per le Adozioni Internazionali ha il compito, fra l’altro, di certificare l’idoneità delle associazioni che offrono assistenza alle coppie desiderose di adottare un bambino straniero. Un’associazione che coinvolga una coppia nell’adozione di un bambino in uno Stato che non ha aderito alla convenzione dell’Aja (o che non abbia almeno sottoscritto un trattato bilaterale con l’Italia) compie un atto temerario, assai rischioso sia per i bambini che per gli aspiranti genitori. Una simile associazione dovrebbe essere automaticamente dichiarata NON IDONEA.
Tutto il resto sono furberie italiote, perpetrate da associazioni avventuriere con l’avallo di politicanti irresponsabili.” Leopoldo Salmaso