Gli speculatori non muoiono mai

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I valori sono discesi a livelli fantasticamente bassi; le imposte sono cresciute; la nostra capacità di pagamento è diminuita; ogni categoria di amministrazione deve tener conto di una notevole diminuzione delle sue entrate; nelle correnti commerciali si è prodotto un vero congelamento delle possibilità di scambio; per ogni dove si posano le foglie secche dell’iniziativa industriale; gli agricoltori non trovano mercati di sbocco per i prodotti della terra, e migliaia di famiglie hanno perduto i risparmi pazientemente accumulati in lunghi anni. Ancora più grave è la circostanza che una folla di disoccupati si trova di fronte al tetro problema della propria esistenza, mentre un numero non minore di cittadini continua a lavorare con scarso profitto. Solamente uno sciocco ottimista potrebbe negare l’oscura realtà del momento.
Eppure le nostre vicende non derivano da alcun fallimento sostanziale. Né siamo colpiti da alcun flagello di locuste. Questo accade perché quanti dominano nel campo dello scambio dei beni materiali, venuti meno dapprima al loro compito per ostinazione ed incompetenza, ammettono poi il loro fallimento ed abdicano alle loro responsabilità. Davanti al tribunale dell’opinione pubblica, condannati dal cuore e dalla mente degli uomini, stanno i sistemi degli speculatori. Di fronte al fallimento del credito hanno saputo soltanto proporre di ricorrere a nuove concessioni di credito. Quando è stato loro impossibile continuare a prospettare il miraggio del profitto per indurre a seguire le loro false teorie di governo, hanno creduto di poter correre ai ripari con pietose esortazioni invitanti a concedere ancora la perduta fiducia. Non conoscono altre norme, che quelle di una generazione di difensori dei propri interessi. Non hanno alcuna larghezza di visione, e quando manca tale elemento i popoli decadono.La misura più o meno vasta di una restaurazione dipenderà dalla proporzione nella quale verranno applicati valori sociali più nobili di quelli del puro e semplice profitto monetario.
La felicità non consiste esclusivamente nel possesso del denaro; essa si concreta nella gioia del raggiungimento di uno scopo, nell’emozione data da ogni sforzo di creazione. Nella folle rincorsa dietro profitti evanescenti non si deve più dimenticare la gioia e lo stimolo morale prodotti dal lavoro.
Il riconoscere la falsità della ricchezza puramente materialistica come indice di successo procede di pari passo con l’abbandonare la falsa convinzione che i posti di alta responsabilità pubblica e politica si identificano con i fini dell’ambizione e del profitto personale. Bisogna porre fine a quella linea di condotta bancaria e commercialistica che ha permesso di perpetuare impunemente il male secondo criteri spietatamente egoistici. C’è poco da meravigliarsi di fronte alla diminuita fiducia, perché la confidenza prospera solo se alimentata dall’onestà, dal senso dell’onore, dal mantenimento delle obbligazioni assunte, da un costante spirito di protezione e da una linea di condotta altruistica. In mancanza di tali elementi la fiducia è destinata a morire.
Ma la ricostruzione non esige solo modificazioni di indole morale. Il nostro primo grande compito è di dare lavoro al popolo. Non è un problema insolubile, se affrontato con saggezza e coraggio. Può essere parzialmente risolto per mezzo di ingaggi diretti da parte del governo, affrontando la questione come si affronterebbe in caso di bisogno la mobilitazione per una guerra; ma nello stesso tempo non dimenticando che tale impiego di uomini va diretto al compimento di opere di grande utilità pubblica, realizzando progetti adatti a provocare e riorganizzare l’uso delle nostre risorse nazionali. Questo compito può essere facilitato dal ridurre le imposte. Può essere facilitato unificando attività oggi inadeguate, antieconomiche e mal distribuite. Può essere facilitato per mezzo di un progetto nazionale per l’organizzazione e la sorveglianza sui trasporti, le comunicazioni e altri servizi, che hanno un carattere spiccatamente pubblico. Molti sono i mezzi per risolvere il problema, che non verrà tuttavia mai risolto soltanto col continuare a parlarne. Occorre agire: e dobbiamo agire rapidamente.
Le nostre relazioni commerciali con l’estero, benché importanti, dal punto di vista dell’urgenza vengono necessariamente in seconda linea, e non possono essere affrontate che dopo la riorganizzazione di una salda economia nazionale.
Infine, nel nostro progresso verso una ripresa del lavoro occorre tenere presenti due salvaguardie contro i mali del vecchio ordine di cose: bisogna esercitare una stretta sorveglianza su tutto il sistema bancario, creditizio e di investimento del denaro; bisogna finirla con le speculazioni basate sul denaro altrui; ed è necessario prendere disposizioni per raggiungere una correttezza adeguata, ma solida.