Saccodanni collaterali

L’Italia è alla canna del gas e chi l’ha ridotta in questa condizione, invece di andarsene con passo rapido e veloce in qualche Paese senza estradizione, si prepara a svendere l’argenteria per guadagnare tempo. Il banchiere Saccomanni, promosso ministro dell’Economia, ha trovato la soluzione: “Pronti a fare cassa utilizzando Enel, Eni e Finmeccanica“. Lo ha detto, per timore di qualche reazione violenta, dalla lontana Mosca dove è stato invitato per il G20 (ebbene sì, siamo ancora nei G20, ma per poco). Impaurito dalle sue stesse parole e dai commenti della stampa internazionale ha “spiegato meglio” che “Potremmo usare le quote delle società come collaterale“. Il cittadino comune che di collaterali conosce di solito solo i danni esposti dal cosiddetto “bugiardino” dei medicinali si è sentito rassicurato: sono solo “collaterali“. Qualche diarrea, un formicolio, due linee di febbre, un arrossamento della pelle. Cosa vuoi che sia? La partecipazione dello Stato nelle uniche grandi aziende nazionali che rimangono all’Italia è quindi salva. Qualcuno sospettoso però potrebbe andare oltre questa analisi superficiale e investigare. Un piccolo aiuto. Chi in Italia sa cosa vuol dire “bene collaterale“?. Una definizione è la seguente:
Bene finanziario concesso in garanzia del puntuale pagamento di un debito. Se alla scadenza, il debitore non è in grado di pagare quanto previsto, il creditore può rivalersi sul bene, vendendolo, e utilizzando tutto o parte del ricavato per soddisfare il suo credito. Nel caso di titolo azionario può venire acquistato da chi vuole speculare con denaro a prestito e la garanzia rappresentata dal titolo stesso.”
In sostanza un collaterale è una cambiale in bianco, un pagherò dato in garanzia, in questo caso delle azioni delle aziende di Stato. “Ah, ma allora è tutta un’altra cosa!“, dirà il cittadino finalmente informato e rassicurato: “Non è una semplice vendita, ma un collaterale“. Gli effetti, i saccodanni collaterali, saranno a lunga scadenza con la perdita del controllo del 30% dello Stato e della “golden share“, che consente di incidere sulle decisioni strategiche, e una diminuzione dei dividendi che vanno alle casse pubbliche. Questione di saccodanni collaterali.