La spirale del debito pubblico

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Il debito pubblico italiano sfiora i 2.000 miliardi.Marcia al ritmo di 100 miliardi in più all’anno. Il 94% del debito è dello Stato, il 6% degli Enti locali. La leggenda che il debito sia dovuto all’aver vissuto sopra le nostre possibilità è falsa. Il debito pubblico non è cresciuto in questi anni per le troppe spese. Nel solo 2011 lo Stato ha avuto un avanzo primario di 16 miliardi, ma gli interessi, pari a 78 miliardi (nel 2012 saranno almeno 90 miliardi), hanno causato un deficit di 62 miliardi. E’ una macchina infernale. Dal 1980 al 2011 le spese sono state inferiori al gettito fiscale per 484 miliardi (siamo stati quindi più che virtuosi), ma gli interessi sul debito di 2.141 miliardi, che abbiamo dovuto pagare nello stesso periodo, ci hanno impoverito. Negli ultimi vent’anni il PIL è cresciuto lentamente, mentre il debito è esploso. Il rapporto debito pubblico/PIL è aumentato dal 98,5% del 1991 al 120% del 2011.
Chi sono i possessori del nostro debito? A chi paghiamo gli interessi che distruggono il bilancio dello Stato? Soltanto il 15% sono famiglie, il 40% sono soggetti esteri (di cui più del 50% in Francia e in Germania), il 19% fondi e assicurazioni, il 20% banche italiane e il 6% la Banca d’Italia (*). Il debito pubblico è trasformato regolarmente in oggetto di speculazione dai mercati. Quando gli Stati vendono nuovi titoli per restituire quelli in scadenza, i mercati usano la speculazione al ribasso per imporre tassi di interesse più alti. La tecnica dell’usuraio. Il debito diventa quindi una opportunità per massimizzare i guadagni dei mercati a spese delle comunità nazionali. Come conseguenza si aggravano le disparità sociali. L’11% delle famiglie italiane vive in povertà e il 7,6% è a rischio (**), dal 2008 al giugno del 2012 le famiglie italiane hanno subito un salasso di 330 miliardi di euro (***).
Se i poteri finanziari usano la speculazione per aumentare i loro guadagni e obbligano i governi al pagamento degli interessi al più alto tasso possibile, il risultato è la recessione degli Stati indebitati e la loro cessione di sovranità. La Grecia dopo tre anni di austerità è scesa da 180 miliardi a 150 di spesa per i consumi e la disoccupazione è salita da 200.000 a quasi un milione di persone (****). Nel lungo termine la recessione distrugge il Paese, ma il debito non diminuisce. Il mito della crescita che dovrebbe nel tempo ridurre il peso del debito si è dimostrata falsa. Nel 2012 In Italia ci sarà una diminuzione del PIL intorno al 3% e per il 2013 non è atteso nessun miglioramento. La globalizzazione sposta inesorabilmente la produzione nei Paesi dove il costo del lavoro è più basso. L’ambiente e un modello di crescita infinito non sono compatibili. Ogni europeo consuma in media 16 tonnellate di materiali all’anno che corrispondono a 51 se si aggiungono detriti e rifiuti dovuti alle catene produttive.
La spirale di debito crescente e gli interessi speculativi stanno disintegrando l’Italia insieme ad altri Stati europei. Ci sono alternative. Le stanno applicando alcuni Paesi del Sud America e l’Islanda. Il peso della crisi va distribuito tra creditori (in massima parte banche e istituti finanziari) e cittadini, va avviata una durissima lotta alla speculazione, valutato il congelamento degli interessi per alcuni anni, e analizzate le voci del debito per valutarne la legittimità di ognuna. Stiamo correndo contro un muro e ci dicono che non c’è alternativa. Il rischio è che si arrivi comunque al default con la svalutazione del debito e la Nazione impoverita e in ginocchio.

(*) dato marzo 2012
(**) Istat luglio 2012
(***) Il sole 24 ore luglio 2012
(****) elaborazione dati Ameco 2012
> L’articolo è tratto dal documento: “Debito pubblico – kit per la partecipazione di base” del Centro Nuovo Modello di Sviluppo