“I politici e l’imenoplastica”, di Mina

Dottore, Mina e Grillo
(05:17)

Un saluto dell’immensa Mina al MoVimento 5 Stelle.
“Si chiama imenoplastica. È un intervento semplice, poco doloroso, dal costo accessibile e di grande effetto, a patto che il chirurgo rispetti la deontologia del segreto professionale e che gli utilizzatori terzi (del pezzo) successivi siano diversi dai precedenti. Anche un po’ più faciloni e di bocca buona, a dire la verità. Chi vi si sottopone solitamente mantiene un riserbo strettissimo e vive in solitudine e privatezza il proprio rinascimento, per dare alla riapparizione l’eclatanza dovuta. Queste tacite regole comportamentali hanno fin qui garantito miracolose riacquisizioni di vita e speranze inimmaginabili a donne, non necessariamente di malaffare, con pretese e doveri nei confronti di se stesse e di chissà quale tipo di pretendente.
Oggi si affaccia una nuova tendenza che stravolge i canoni dell’imenoplastica. Neanche il più basilare si salva, cioè quello riguardante il sesso dei pazienti cui riservare questa stravagante e miracolosa ristrutturazione. Si sostiene che l’imene e la verginità, conseguente e correlata, appartengano sia a maschi che a femmine, credo per una questione di pari opportunità. A reclamare tale ammodernamento anatomico si sono impegnati i grandi uomini della prima, della seconda, della terza, della quarta, della ennesima repubblica. Leggermente sputtanati e disfatti in decenni di infernale e volgare promiscuità e sfrenato onanismo, senza controllo e con autoreferenzialità, stanno rivalutando all’improvviso il concetto di purezza. Non è raro ammirare gruppi di quelli che una volta si chiamavano politici, in vestaglia dal gusto classico, reduci e convalescenti dal suddetto trattamento, seduti su poltrone di similpelle bordeaux nelle hall di cliniche di chirurgia ricostruttiva. La schiera dei “rifatti” comprende anche politologi, finedicitori di politica, economisti dell’ultima ora e bellimbusti di contorno, giornalisti compiacenti, adulatori prezzolati. Vestali di ritorno, risettati nella morale situata negli organi genitali, si apprestano a riprendere il rituale dei baccanali. Si guardano vicendevolmente, non hanno neppure il tempo per gesti di intesa, non arrossiscono, ammiccano a chi li sorprende e soltanto ad uno sguardo esperto non sfuggirà una patetica rappresentazione di rinnovata forza, che sembri, però, forza mai perduta. Le sale operatorie traboccano, la fila è lunga, la lista d’attesa pure. Le poltrone delle hall scarseggiano, le dimissioni per lasciare posti liberi incalzano, le guarigioni e le cicatrizzazioni non sono così tanto garantite. Il fenomeno dell’affollamento ha diverse spiegazioni. Prima di tutto c’è un po’ di tempo. Qualcun altro si sta occupando delle faccende cui dovrebbe essere dedicato il loro retribuito lavoro. Usufruiscono di un congedo temporaneo. E quale migliore momento per riconnotare il look? Tutti si stanno affrettando nella ricomposizione, pressati come sono da immancabili appuntamenti di prossimi rapporti intimi (si fa per dire), già previsti nelle scadenze e negli istituzionali obbiettivi. Tutti insieme, nella tipica ammucchiata che caratterizza, secondo la loro comune concezione epicurea, ogni mandata elettorale, si dovranno presentare al meglio delle proprie capacità polisessuali, belli e appetibili come tanti anni fa, come tante repubbliche fa, come tante degradazioni fa.
Al teatrino non deve mancare nulla perché la rappresentazione possa ripartire nella sua completezza. La hall della clinica si anima di continuo per le prove. Il fruscio delle vestaglie non smette fino a notte inoltrata. Truccatori e costumisti intervengono con circospezione ed efficacia, intanto che gli illibati di seconda mano si organizzano nel controllo della timidezza e dell’emozione e gargarizzano per dare alla voce un non so che di limpidezza. Azzardano la strutturazione di nuovi gruppi di recita, dai nomi poco evocativi di precedenti sconcezze e, d’altra parte, ancora ammiccanti per prossime clientele. Si va da “Rondini passeggere” a “Stelle filanti“, da “Luci del mezzogiorno” a “Stivale immacolato“, da “Ronda del Tanaro” a “Pizza incatenata“, da “Regione pura” a “Mistero costituzionale“. Le giornate trascorrono tra queste amenità. Gli operati stanno radicandosi nell’appropriazione di una definita identità accettabile e prendono pillole a base di fiori di loto per annebbiare i ricordi e scongiurare gaffe. I cronisti di eventi di buona sanità gongolano. I media sono un po’ sbalestrati in questo momento di limbo, ma confidano che la loro presenza sarà sempiternamente utile alla pantomima. Scalpitano per la ridiscesa in campo dei vecchi ringiovaniti compagni. Non ne possono più di gente seria e seriosa che incombe sull’attualità senza un minimo di osé e prouesse. Un filino di burlesque, suvvia, cosa vuoi che sia! Le loro deflorazioni o non sono neppure ipotizzabili o sono talmente indicibili da sfuggire ad esplorazioni superficiali.
Ma una nube grigia o forse anche nera si abbatte sulla clinica delle vacanze a disturbare la convalescenza e, può darsi, a compromettere il risultato di tanta fatica. Compaiono con maggiore frequenza del solito gli aggiornamenti dei sondaggi descritti in torte o colonne definite da grandezze percentuali. I giornalisti, ancora in pigiama, vengono mandati allo sbaraglio per riprendere posizione. Devono allestire immediatamente gli spazi per accogliere i biancovestiti in una sorta di ballo di debuttanti di secondo pelo. Ai politici non è mai importato niente di chi fosse ciascuno di noi. Tanto, ognuno di noi è sempre rintracciabile in una colonna o in una fetta di torta e tanto basta. Loro non dovranno mai perdere tempo con istanze singole, distinte, specifiche o da class action. Hanno sempre avuto fiducia che, comunque, le poltrone rosse delle camere (parlamentari, in questo caso) fossero sempre a loro disposizione in quantità più che sufficiente. Non come quelle in similpelle bordeaux della clinica, che cominciano a scarseggiare. Nella sala della televisione, tra impicci di flebo ricostituenti e giornali spiegazzati per l’incredulità, i principi dell’inconsistenza e dell’imbroglio aspettano dai loro portavoce la costruzione di opinioni di speranza, redenzione. Una specie di clima da tappeto rosso per il loro ritorno. Però tutto sembra difficile. Proprio di questi tempi sondaggisti e sondaggiati sembrano impazziti e procurano grattacapi ai poveri degenti fremebondi e assatanati di nuovi piaceri e piaceri nuovi. La più consistente delle fette di torta sembra proprio quella che non si può spartire e neppure assaggiare. Gli intenzionati a non votare sono diventati la maggioranza vera. Saranno i puritani, i pentiti, i redenti, i vecchi impotenti, i pigri, gli scafati, gli scazzati irrimediabilmente, gli invalidi permanenti da lesione da padulo? Mah. L’orrore si ingrossa ulteriormente con la quota degli indecisi, quelli che, una volta, si diceva facessero flanella nei casini, tipo guardoni con arrapamento sufficiente e disponibilità insufficiente. Poi c’è il popolo con l’obiettivo della scheda bianca, quella posizione di privatissima protesta intimistica, di resa non violenta, di “ti vedo e non ti vedo“. Tutte insieme queste categorie fanno la maggioranza assoluta dell’elettorato e costituiscono più della metà della torta. Davanti alla rappresentazione grafica di tale incubo, i nostri vestagliati si abbattono sulle poltrone e si domandano se valesse la pena di sprecare tempo a ritoccarsi o se non fosse stato meglio depravarsi ancora di più fino all’abuso. Eppure, su questi pensieri, usando le loro provatissime e riconosciute abilità digestive e compromissorie, non si dannano e considerano la questione aperta e la dialettica ancora possibile.
E poi il colpo finale, la mazzata che ammutolisce la sala della televisione. Beppe Grillo. Incontrollabile, sottovalutato, diverso, è adesso minaccioso veramente. Compare sostanzioso nella sua percentuale e inarrestabilmente spacca equilibri e logiche. Non ne avevano mai parlato. Nel calderone dell’antipolitica ci stava tutto, Beppe Grillo compreso. Che bisogno c’era di aver paura di un’alternativa senza qualifica, appartenenza, categoria di riferimento? L’ideologia del bunga e dell’antibunga erano sufficienti a eletti ed elettori per il funzionamento di Stato, società e politica estera. Ora bisogna fare i conti con lo spauracchio. Prima regola che si impongono i neovergini è quella di non nominare mai il nome dell’interessato. La volgare citazione appare scritta negli sfondi degli studi e, al massimo, velocissimamente pronunciata da scioglilinguisti allenati. Vengono impegnati, poi, scrittori dal costo elevato per la edificazione della muraglia di discredito che comprenda intelligentissimi riferimenti al qualunquismo, all’utopia, al populismo, alla sovversione, all’anacronismo, all’irrispettosità, all’inconsistenza. Contenti delle strategie impostate, appagati ogni tanto da un “più zero, qualcosa“, si godono il prurito dei genitali riparati”. Mina