Vite che non valgono un funerale


Ci sono posti dove morire non basta. Uccidere, crivellare di colpi un corpo già esanime, lasciare il cadavere in una pozza di sangue che disegna le imperfezioni dell’asfalto non è sufficiente. Si deve andare oltre.
La Calabria è la regione con più casi di lupara bianca d’Europa. A Cosenza s’è da poco chiuso il primo grado di un maxiprocesso denominato “Missing”, proprio perché la maggior parte dei 42 omicidi in esame finì con la sparizione del cadavere.
I clan armano le batterie di fuoco, uccidono con brutalità in masserie abbandonate, in casolari invisibili. Poi fanno sparire i corpi per sempre. Perché ci sono vite che non valgono un funerale. Perché ci sono uomini che non meritano una sepoltura, un posto dove piangerli. Perché non lasciare tracce allontana lo spettro di un processo per omicidio.
La vita dei familiari di chi sparisce diventa un inferno fatto di attese inutili. Mogli che dormono accanto a un telefono che non squilla mai, madri senza più lacrime che ogni giorno spolverano la stanza del figlio e continuano a fare lo stesso bucato di quelle camice, in attesa di un ritorno che non esiste.
Qualche anno fa ne ho conosciuta una di queste madri tristi.
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