Lettera di un figlio detenuto a un padre che non c’è più


“Ciao! Oppure debbo dire “uè stò quà” com’era mia consuetudine, per stabilire il contatto. Te ne sei andato, senza neppure salutarmi. Ti ricordi, mi dicesti in agonia, a cavallo del trapasso: “Domani dovrai essere tu ad accompagnarmi al comune“. Ed io, seduto al tuo capezzale, ascoltavo quelle tue frasi sconnesse. Ma la presenza delle guardie violentarono quel momento intimo; come quando si violenta un neonato, e per tantissimi anni ho vissuto in quel dolore e disprezzo per tutto ciò che violenta. Hai spirato solo dopo che mi hai visto. Avrei voluto piangere, singhiozzare e, perché no, andar di testa! Scusami, perdonami non ne sono stato capace; pensavo che, se mi fossi sbattuto, avresti sentito il tintinnio delle catene che mi portavo dentro. Lo sai, sono stato “negativo” dalla nascita, nonostante i tuoi insegnamenti, e adesso mi confesso con la speranza di esorcizzare il sonno perché ti sogno spesso. Ma non ti fai mai vedere, vedo tutti i nostri cari, a volte ci parlo pure, ma tu non ti fai vedere! Quale il motivo? Quali sono i tuoi rancori verso me? L’altra notte ti ho sognato, un sogno che ho vissuto nella realtà. Ti ricordi, riuscisti ad intrufolarti dove era permesso solo ai miei simili. Riuscisti a sentire il nostro motto (rincorrere i nemici e abbatterli…). Mi guardasti, ti scesero le lacrime e te ne andasti. Perché l’altra notte non ti sei fatto vedere? Ho scavato dentro me, per capire il perché non ti fai vedere, ma non ho trovato niente per giustificare il tuo comportamento. Aiutami, ti prego, è indispensabile in questa fase della mia vita; è importante avere il tuo consenso; tu sai che è nella mia indole mandare alla malora chi non è d’accordo con me. Sarei capace di mandare alla malora anche Dio, ma sia tu che lui, attualmente, mi servite! Ho bisogno di te e di lui, mi servono le vostre benedizioni, i vostri perdoni, perché mi trovo su un sentiero a me sconosciuto, quello “positivo“. Se la partenza sarà handicappata, l’arrivo non ci sarà! Ti ricordi quando ti dissi che non riuscivo più a piangere? Questa cosa mi faceva male. Avevo bisogno di sfogarmi, ma tu prendesti questa cosa ancora come una malattia. Ricorderò sempre il medico che mi portasti a casa. Questo è il motivo principale del mio messaggio… Pà! Sta cambiando qualcosa dentro di me e sono sicuro che fra non molto ci riuscirò. Credimi le prime lacrime le dedicherò a te, perché tu, solo tu, sarai l’artefice di questo miracolo! Ciao, ti vorrò sempre più bene! L’ultimo soldato matto. Tonino Madonna, Carcere di Lauro (AV)“. ippolita zecca, genova