La Grande Onda

Sono ipnotizzato dalla marea di metallo, macchine, camion, tir, barche. Uniti insieme dallo tsunami. Sento il fascino dell’abisso, come quando in sogno cado dall’alto in un precipitare verso l’ignoto, in una dimensione sconosciuta, ma rassicurante. Un gigantesco magnete di acqua ha trasformato lamiere e cose in un’onda inconcepibile che sembra formata di spazzatura e che dilaga in modo scomposto, come un’immenso ragno, per i campi e per le città giapponesi e trasforma le strade in fiumi in piena. In una fotografia c’è un gorgo immenso, lo stesso che deve avere immaginato Edgar Allan Poe per il suo racconto “Una discesa nel Maelström“. Ai bordi delle gigantesche spirali, un’imbarcazione solitaria è destinata ad essere inghiottita. L’onda di dieci metri generata dalle profondità del mare ha sommerso villaggi e città, anche a chilometri dalla costa. Dall’alto appare una Venezia sconfinata, muta, bombardata, senza segni di vita tranne qualche persona sui tetti che agita dei lenzuoli bianchi per attirare l’attenzione degli elicotteri.
Il mare ha inghiottito la terra e dove si è ritirato ha lasciato gigantesche bidonville con delle grandi pozze dove galleggiano le auto come papere meccaniche. In un’immagine, un gruppo di case è circondato dai rifiuti dell’onda che sembra infinita all’orizzonte. Ogni corpo meccanico trascinato dalle acque ha lo stesso identico colore brunastro. Sembrano Frankestein di acciaio, zombie di macchine, mostri post industriali di un film di Romero alla ricerca della vita che è ancora sopravvissuta.

Ci sono esplosioni di fuochi nella marea metallica in movimento. Il fuoco e l’acqua convivono in questa spaventosa sera di marzo in Giappone. Lo tsunami si è invitato per cena, ha bussato alla sua maniera. Mancano elettricità e acqua potabile in molte zone. Un treno è scomparso. Gli incendi hanno colpito una raffineria e la centrale nucleare di Onagawa. Il governo ha evacuato duemila persone vicino alla centrale atomica di Fukushima. Non ci sarà, forse, l’inverno nucleare nel Sol Levante. Ci affidiamo, come sempre, al fato. Poi, vada come vada.