Lo stomaco è rivoluzionario?

Quando i francesi chiesero più pane, Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI, esclamò: “Se non hanno pane, che mangino brioches“. Ne seguì la Rivoluzione con i suoi cesti di teste mozzate. Mubarak, Ben Alì e Gheddafi invece delle brioches hanno dispensato del piombo caldo al popolo. Qualche centinaio di morti tra i manifestanti non è comunque servito a fermare la rivoluzione nordafricana. Mubarak è stato colpito da infarto, Ben Alì è scomparso, forse deceduto, e Gheddafi si è riparato dietro ai cecchini e all’isolamento del suo Paese. Quello che sta avvenendo è un assalto ai forni o una rivoluzione per la democrazia, o entrambi? La miseria è rivoluzionaria? Lo stomaco è rivoluzionario?
Esiste un indice della miseria, il misery index, un indicatore economico, creato da Arthur Okun, che misura la povertà di uno Stato. L’indice è dato dalla somma della disoccupazione e dell’inflazione. Maggiore è l’indice, maggiore la miseria. Nell’ ultima classifica l’Egitto è al 6° posto, la Grecia (vicina al default) al 7° e la Tunisia al 9°. Una relazione è evidente. Ma chi compare ai primi quattro posti? Il Venezuela di Chavez è primo assoluto, seguono Sudafrica, Spagna e Pakistan. Questi Paesi sono tra gli indiziati per le rivolte prossime venture, più o meno violente. Sorprende la posizione negativa della Spagna, così come quella strabiliante dell’Italia, 23esima con un indice migliore della media UE e di Francia, Inghilterra e Repubblica Ceca. Finalmente un dato positivo. Spezziamo le nacchere alla Spagna (22 di indice della miseria) con un 10, 1, meno della metà (fonti: Eurostat e IMF).
Il nostro indice, riferito all’anno 2010, è composto da 1,5% di inflazione e 8,6% di disoccupazione. Ma questi dati esistono solo nei libri dei sogni tremortiani. Infatti, la stessa Istat ha fornito un dato per la disoccupazione del 12% (3,4% in più di quella ufficiale), ma in realtà, se si considera chi il lavoro non lo cerca più, è intorno al 14%. L’inflazione è calcolata su un paniere che non tiene conto del reale costo della vita. Chi paga bollette, riscaldamento, benzina, pedaggi autostradali e beni di prima necessità sa benissimo che l’aumento dell’inflazione vale almeno il 5% annuo (3,5% in più di quella dichiarata). Se sommiamo soltanto la maggiore disoccupazione Istat, l’Italia arriva al 13,5, vicino a Irlanda e Portogallo. Se proseguiamo, addizionando il 2% in più di disoccupati scoraggiati, arriviamo a 15,5, a un’incollatura da Turchia e Tunisia. Infine, se valutiamo l’inflazione percepita giungiamo alla vetta di 19 come indice della miseria, quinti assoluti a pari merito con l’Egitto e prima della Grecia.
Ai tempi di Bottino Craxi c’era l’ottimismo della volontà, oggi c’è l’ottimismo della disperazione. Al popolo non si danno più brioches, ma balle. Chissà come andrà a finire questa volta.

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