L’economia della politica

Pericle e la democrazia
(4:08)

La politica e l’economia sono sovrapposte. Non esiste una senza l’altra. L’economia dipende dalla politica e la politica dall’economia. Può avvenire che una prevalga sull’altra, ma sempre in una condizione di simbiosi, di beneficio reciproco. La politica è essa stessa economia, una delle industrie più importanti del Paese con decine di miliardi di giro d’affari annuo. I soldi servono per fare politica e i politici servono per sviluppare l’economia dei concessionari alla Benetton, dei banchieri alla Geronzi, Fiorani, Consorte e dei costruttori alla Caltagirone, Ligresti. Il politico economico può aspirare alla presidenza del Consiglio e ottenerla, come è successo con Berlusconi, concessionario dello Stato per le frequenze televisive all’1% del fatturato.
Il Parlamento è un obiettivo economico, un punto di arrivo sociale, non esistono parlamentari poveri, esistono invece parlamentari che sono diventati ricchi, o almeno benestanti. La politica è un affare, i soldi sono il suo carburante, l’ossigeno che la tiene in vita. I partiti per prosperare hanno bisogno di sedi (pagate dai finanziamenti pubblici) , di giornali (pagati dai finanziamenti pubblici), di strutture sul territorio del tutto simili a un’azienda con capi e sottocapi (pagate dai finanziamenti pubblici), di impiegati ai loro ordini in Parlamento, nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni (pagati dalla tasse). Le elezioni sono un grande divoratore di investimenti, chi se li può permettere vince, come è successo per Mortizia Moratti, diventata sindaco grazie ai milioni di euro del marito petroliere.
La differenza tra politica e economia è sempre più sottile. La privatizzazione del pubblico, sostanza dello Stato sociale, del patto che lega una comunità, della mutua assistenza, è considerato progressista, segno di una efficienza che si traduce sempre e comunque in profitto per qualcuno. Lo Stato, che la Costituzione dice basato sul lavoro, è invece basato sul capitale, chi lo possiede, o lo gestisce, si fa Stato. La politica è carriera, chi ci è entrato non ne esce, si ritiene indispensabile alla collettività, ma nel migliore dei casi ha ottenuto un posto di grande rilevanza mediatica e un ottimo stipendio. La separazione delle carriere deve partire da questo osceno connubio tra politica e economia.
Il risultato più importante per il MoVimento 5 Stelle è l’aver ottenuto mezzo milione di voti a 0,8 centesimi a voto e aver rifiutato il finanziamento pubblico di un milione e settecentomila euro spacciato da “rimborso elettorale“. La Rete rende possibile una nuova politica separata dagli interessi economici, la politica delle idee e della trasparenza a costo zero per i cittadini. I partiti sono a un bivio, ma non possono imboccare nessuna delle due strade. Se si separano dagli interessi economici, dalla “roba“, moriranno come un gemello siamese con due teste. Se non si separano saranno cancellati dagli elettori. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.