La tecnica di Erode. Giancarlo Caselli.

Giancarlo Caselli e il processo breve
(12:48)

Giancarlo Caselli, procuratore Capo della Repubblica di Torino, spiega con parole semplici perché l’ipotesi della legge sul processo breve proposta da Berlusconi sia una colossale porcata ai danni dei cittadini onesti. Il solo fatto che la legge fosse spinta da Alfano e Mavalà Ghedini mi aveva messo sul sospetto. Lo psiconano chiede sempre cento per ottenere 50. Sa che questa legge non può passare. E’ solo un espediente per una trattativa sulla riforma della giustizia, quindi su una riforma per non farsi processare. Bersani è favorevole, Violante non sta più nella pelle. L’inciucio sulla giustizia sta arrivando mentre i problemi del Paese possono, come sempre, andare a fanculo.
Testo intervista a Giancarlo Caselli, magistrato
” Su questo problema del cosiddetto processo breve, prima di tutto bisogna dire che c’è una grande confusione: chi propaganda questo progetto come una specie di panacea per i mali della giustizia forse dovrebbe fare i conti con le regole che disciplinano la pubblicità onesta, veritiera, corretta, con il codice di autodisciplina dell’attività pubblicitaria, perché si parla di processo breve, ma questa è soltanto, se non un’illusione, un obiettivo. In realtà bisogna mettere in campo quanto necessario affinché si arrivi all’obiettivo. Fatta questa premessa, più o meno scherzosa, diciamo subito che è la nostra Costituzione che esige che il processo abbia una ragionevole durata. Poi c’è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, ripetutamente, ha condannato il nostro Paese perché i processi durano troppo e allora che il processo debba essere breve è sacrosanto, è nella Costituzione e ce lo dice l’Europa.
Come si fa a non essere d’accordo con il processo breve? E’ come se un medico non fosse d’accordo con una medicina che abolisce il cancro, ma non basta dire processo breve, non basta proclamare un’intenzione, ci vuole altro. Prima di tutto è necessario che la riforma sia valutata per quanto riguarda le sue ricadute sulla generalità dei processi, senza avere riferimento esclusivo o prevalente a questo o quel processo che interessa a qualcuno, altrimenti se così fosse – e così potrebbe essere, leggendo i giornali – è la tecnica di Erode: uccidere due processi con una strage di innocenti, cioè di processi che, con questo o quello che interessano un determinato soggetto, non c’entrano assolutamente niente. Perché dico strage degli innocenti? Perché in realtà – e lo vedremo – non si tratta di abbreviare i tempi del processo, ma di mettere a rischio di vita, a rischio di essere ammazzati, uccisi molti, moltissimi processi. Il problema principale è che è fissato un obiettivo sacrosanto come il processo breve, poi bisogna farsi carico di come raggiungerlo e cercare di ridurre, se non eliminare, le cause dell’eccessiva durata.
Il processo dura troppo per il carico di lavoro dei magistrati, negli ultimi anni è aumentato in maniera incredibile: il cittadino è sempre più consapevole dei suoi diritti e, sempre più frequentemente, si rivolge alla giustizia affinché i suoi diritti siano tutelati e questo determina un’esplosione del numero delle cause. Pensiamo alla colpa medica: una volta si andava in ospedale e, se le cose non andavano bene, finiva lì; oggi, se le cose non vanno bene o si ritiene che non siano andate bene, non c’è malato o parente di malato che non faccia causa al medico o all’ospedale, i processi per colpa medica sono diventati un numero rilevantissimo del carico processuale. Nel contempo, il numero dei magistrati non è aumentato in proporzione: 8.000 circa, un numero insufficiente rispetto agli altri Paesi europei raffrontando il carico di lavoro con il numero dei magistrati. Oltre a non essere in numero sufficiente, sono anche mal distribuiti sul territorio: la cosiddetta geografia giudiziaria è vecchia, superata, abbiamo alcuni tribunali inutili, superflui, con pochissimo lavoro e altri che invece hanno un carico di lavoro enorme, in cui non c’è il personale che, ricavandolo, abolendo i tribunali inutili, potrebbe essere ottenuto. Poi c’è il fatto che, per la giustizia, non si spende abbastanza, per esempio, non ci sono soldi per pagare gli straordinari dei cancellieri, senza cancellieri non si fanno le udienze e le udienze che si fanno devono obbligatoriamente finire alle due, perché mancano i soldi per pagare gli straordinari. Mediamente in Italia manca il 15% di segretari e di cancellieri, di personale amministrativo rispetto agli organici, con punte anche del 30% nel nord est e nel nord ovest.
Infine, ci sono le procedure, sembrano, qualche volta, fatte apposta perché il processo non finisca mai. Un solo esempio: abbiamo un sistema tendenzialmente accusatorio, usa dire, in tutti i Paesi del mondo in cui c’è un sistema accusatorio non ci sono tutti i gradi di giudizio che abbiamo ancora. Ci sono un primo grado e un ricorso alla Corte Suprema e basta e allora anche da noi, perché il sistema accusatorio sia al passo con gli altri Paesi, abolire l’appello: non si vuole abolire l’appello, ma quantomeno introdurre dei filtri che impediscano di ricorrere sempre e comunque in appello. Oggi un imputato che, in primo grado, confessa e è condannato al minimo della pena va lo stesso in appello, sempre: perché? Perché lui e il suo avvocato sperano – che so? – in un indulto, in un’amnistia, nella prescrizione, conviene loro far passare il tempo, ma così si inflaziona il sistema e i processi non finiscono mai.
Detto tutto questo, vediamo come funzionerebbe la riforma: la riforma dice che muore tutta una serie di processi se vengono superati i due anni in primo grado, i due anni in appello o i due anni in Cassazione, sei anni complessivamente. Quelli che contano soprattutto sono i due anni in primo grado, perché è qui che si giocano le partite e sono i due anni che si calcolano dal rinvio a giudizio alla sentenza, che conclude il primo grado. Sono esclusi dalla riforma i processi per reati punibili con pena superiore ai dieci anni, i processi per reati rientranti in un elenco di eccezioni, quali mafia, terrorismo, omicidi stradali, omicidi con violazione delle norme a tutela dei lavoratori, sul posto di lavoro e sono esclusi dalla riforma anche i processi che riguardano i reati commessi dai recidivi. Tutti gli altri processi sotto i dieci anni, non rientranti nel catalogo delle eccezioni, commessi da incensurati, quando scattano i due anni senza che si sia arrivati a una sentenza di primo grado, muoiono e sono processi per fatti anche gravi, anzi sono processi per fatti di notevolissima gravità: abuso d’ufficio, corruzione semplice e in atti giudiziari, rivelazione di segreti d’ufficio, truffa semplice o aggravata, frodi comunitarie, frodi fiscali, falsi in bilancio, bancarotta preferenziale, intercettazioni illecite, reati informatici, ricettazione, omicidio colposo per colpa medica, maltrattamenti in famiglia, incendio cosiddetto semplice, aborto clandestino e via seguitando.Muoiono tutti questi processi, se non si rispetta il termine tassativo dei due anni in primo grado e via seguitando: quanti ne muoiono di questi processi? Secondo il Ministro Alfano pochi, solo l’1%: se fosse vero la riforma non avrebbe senso. Secondo l’Associazione Nazionale Magistrati sono a rischio di estinzione molti più processi: il 50% dei processi rientranti nella categoria toccata dalla riforma.
Il traguardo e bello, buono, giusto e sacrosanto, ma bisogna anche fare qualcosa affinché ci si possa arrivare: se si fissa un traguardo che va raggiunto correndo veloci, ma poi non si cura la pista, cioè la procedura, se il corridore, l’operatore giudiziario, deve correre velocemente per raggiungere il traguardo in un tempo breve, non viene dotato degli strumenti necessari, delle “scarpette per correre veloce“, ma è costretto a muoversi con scarponi da montagna, se non addirittura con uno scafandro da palombaro, quel traguardo è irraggiungibile e questa riforma, in linea di principio bella, accettabile, diventa un’incompiuta. Molte volte i tempi già lunghi del processo sono abbreviati, ridotti, grazie al ricorso ai cosiddetti riti alternativi, quali patteggiamento e giudizio abbreviato. A Torino di queste riforme ormai non se ne faranno più, perché a me, difensore di questo o di quell’imputato, non conviene – e devo fare l’interesse del mio cliente – patteggiare o andare al giudizio abbreviato. Se ho la speranza e la prospettiva che tutto muoia, se non arriva la sentenza entro due anni, bastano i riti alternativi, ma se cessano i riti alternativi avremo più processi e il sistema, invece di essere accelerato, finirà per essere ulteriormente inflazionato e le cose andranno ancora peggio di come non vanno oggi.
Poi ci sono eventuali profili di incostituzionalità: abbiamo detto che la riforma del processo breve non riguarda i reati commessi dai recidivi, anche se è una recidiva per piccole cose molto risalenti nel tempo, per le quali magari si è intervenuti a riabilitazione. E allora può succedere questo: io, incensurato, commetto un reato in concorso con persona recidiva, siamo a braccetto quando commettiamo questo reato, siamo intrecciati l’uno con l’altro inestricabilmente e io, incensurato, se il processo non si conclude entro i due anni, la faccio franca e finisce tutto, lui, recidivo per un fatterello lontanissimo nel tempo, dopo due anni e cinque giorni magari viene condannato a nove anni di reclusione per lo stesso identico fatto. C’è qualcosa che stride, qualcosa che non va troppo bene. Allo stesso modo stride che un incensurato che commette una truffa per milioni e milioni di euro possa farla franca, se il processo non si conclude in due anni, mentre per un recidivo, per un piccolo recidivo che commette una truffa per pochi spiccioli il processo non muore mai e la condanna prima o poi arriva.
Ancora un profilo: le eccezioni alla riforma del processo breve riguardano reati molto gravi, quali terrorismo, mafia, omicidi per violazione delle norme sulla circolazione stradale, sulla tutela della salute, la sicurezza dei lavoratori etc., ma in questo catalogo delle eccezioni ci sono anche reati collegati alla migrazione clandestina. Se si mettono nello stesso contenitore cose diversissime tra loro, assolutamente due mondi diversi, ecco profili di non ragionevolezza complessiva della norma, quindi profili eventuali ancora di incostituzionalità.
Vorrei chiudere dicendo che anche i magistrati devono assumersi le loro responsabilità: negli ultimi anni lo stanno facendo, per quanto riguarda l’organizzazione del proprio lavoro, l’organizzazione degli uffici, ma anche per quanto riguarda la sfida della professionalità e della produttività. Al Ministro Castelli l’Associazione Nazionale Magistrati propose controlli quadriennali sulla produttività, con pesanti riduzioni di stipendio per chi non lavorava abbastanza: questa proposta sostanzialmente, sia pure in altri termini, è diventata legge dello Stato, e se non si superano questi esami quadriennali, non si progredisce in carriera, non si perde lo stipendio, ma non si aumenta in termini di retribuzione. E’ una riforma seria, che i magistrati hanno accettato di buon grado, sono stati sostanzialmente loro i primi a proporla, perché professionalità, produttività, miglior funzionamento del servizio della giustizia, che i cittadini hanno il sacrosanto diritto di pretendere, sono cose che stanno a cuore anche, se non prima di tutto, ai magistrati.”