Il Copenhagen Call e la Coca Cola verde

Riccardo Petrella: the Copenhagen Call
(14:16)

Le premesse per il pianeta Terra e i suoi abitanti sono tutt’altro che buone. A dicembre si terrà la Conferenza di Copenhagen per decidere le regole del post Kyoto. I Paesi ricchi che sono responsabili dell’80% delle emissioni di CO2 non vogliono impegnarsi, i Paesi poveri, visto l’esempio, non ci pensano neppure. Il protagonista della Conferenza è il business verde, i soldi. Per banche e multinazionali è sufficiente mantenere il modello di sviluppo attuale e verniciarlo di verde. Il pianeta non attende e sopra i due gradi di surriscaldamento il primo problema sarà la mancanza d’acqua e la sete per miliardi di persone. Un tema ignorato dalla Conferenza. Riccardo Petrella, uno dei massimi esperti mondiali dell’acqua, ci spiega cosa ci può attendere.

Intervista a Riccardo Petrella:
Gli obiettivi di Kyoto traditi dai Paesi ricchi
The Copenhagen Call: l’appello di Copenhagen
Il futuro dell’umanità si gioca sulla tutela dell’acqua

Gli obiettivi di Kyoto traditi dai Paesi ricchi

Dobbiamo essere molto preoccupati dell’evoluzione attuale della preparazione alla Conferenza di Copenaghen, che è sulla convenzione sul cambio climatico, che dovrebbe dare atto alla firma di un nuovo trattato detto post Kyoto, che dovrebbe entrare in vigore nel 2013 e che organizzerebbe, per i prossimi quindici, venti anni, l’economia mondiale e i rapporti tra economia, sviluppo, benessere e gestione dell’ambiente. Si tratta della più grande fase di negoziato mondiale in vista di un accordo mondiale sul futuro dell’umanità.
Ora dobbiamo essere preoccupati perché? Perché, sulla base di quanto sta emergendo, i Paesi ricchi -ci si può domandare – stanno non mantenendo le promesse per le quali in passato si erano impegnati? Come sapete, tutti gli studi dell’International Panel on Climate Change, che è il gruppo di 1.500 scienziati che da anni lavora per le Nazioni Unite sui problemi del cambiamento climatico, hanno detto che se il mondo vuole evitare delle catastrofi immani ambientali bisogna mantenere al di sotto di due gradi l’aumento della temperatura media dell’atmosfera terrestre da qui al 2100. Per raggiungere questo obiettivo, tutti gli studi dimostrano che sarebbe necessario, all’anno 2050, di diminuire del 60% le emissioni di CO2 rispetto al volume del 1990. Questo significherebbe 80% per i Paesi ricchi e 20% per gli altri Paesi.
Ora stiamo constatando che i Paesi ricchi non vogliono mantenere né conformarsi a queste indicazioni: addirittura, per gli obiettivi di tipo intermediario, quelli al 2020, dove i Paesi ricchi avrebbero dovuto impegnarsi al 20% di riduzione dell’emissione rispetto al volume del 1990, solo la Germania e in parte la Francia, tra i Paesi ricchi, stanno affermando che vogliono attenersi a questi obiettivi quantificati di riduzione delle emissioni. Mentre invece, il 12 giugno, il Giappone ha detto che non si impegna a ridurre al massimo più dell’8% il livello di emissioni e gli Stati Uniti hanno detto due cose importanti: la prima, che non hanno nessuna intenzione di diminuire le emissioni di CO2 al di sotto del 4%, che è molto lontano da quello che dovrebbero fare; seconda cosa, hanno manifestato una conferma anche in tutte le amministrazioni precedenti, Obama ha confermato la tendenza degli Stati Uniti, che non sono favorevoli a un accordo mondiale, ma che il principio del nuovo trattato di Copenaghen dovrebbe essere quello per cui ciascun Paese si impegna a livello nazionale, ma non c’è nessun accordo globale su un impegno comune eventualmente verificato, se poi gli Stati mantengono gli impegni presi. E quindi hanno addirittura affermato il 12 giugno a Bonn, in una riunione preparatoria della Conferenza di Copenaghen, che loro stessi non domanderanno alla Cina di assumere nessun impegno, facendo un gesto di comprensione, dicendo: “ma la Cina deve svilupparsi e non si può vincolarla a degli obiettivi quantificati che costringerebbero i cinesi a non avere il tasso di sviluppo, che invece meritano..“. In realtà gli Stati Uniti stanno tentando di fare un accordo Stati Uniti /Cina nel quale dicono: “non ti impegnare, non ti chiederemo niente“, sperando e pensando che così la Cina non domanderà nessun impegno agli Stati Uniti rispetto alle riduzioni di emissioni. Ora sappiamo benissimo che da anni il Brasile, l’India, la Cina, la Russia, tutti i Paesi emergenti hanno detto che, se i Paesi ricchi non prenderanno le loro responsabilità e non saranno i primi, poiché sono stati i più grandi responsabili e predatori delle risorse del pianeta negli ultimi 100 /150 anni, se i Paesi ricchi non ridurranno in maniera significativa le loro emissioni, i Paesi nuovi non si impegneranno a niente, e hanno ragione: la responsabilità massima in questo caso appartiene ai Paesi ricchi. Quindi grossissimo problema: riusciranno i Paesi ricchi a mantenere a mantenere gli impegni presi? Faranno i Paesi ricchi le svolte necessarie per evitare le catastrofi immani, gli scombussolamenti terribili che un’eventuale riscaldamento dell’atmosfera al di sopra dei due gradi comporterà?
Il secondo interrogativo che ci deve preoccupare è che si sta constatando – e è affermato proprio alla fine di questo mese, il mese di maggio – che tutti i dirigenti dei Paesi ricchi, ma anche dei Paesi detti emergenti sono convinti che si potrà risolvere il problema del cambiamento climatico e, in particolare, risolvere il problema dell’uscita dalla crisi economico /finanziaria attuale solo attraverso l’economia verde e attraverso le soluzioni apportate al sistema energetico. Per cui oggi non fanno altro che parlare di automobili verdi, di ponti verdi, di ferrovie verdi, di Coca Cola verde, di case verdi, di cinema verdi, di pomodori verdi, tutto è al verde: cioè vale a dire, beninteso, l’economia verde, però alla salsa verde del capitalismo verde e in effetti tutti dicono che bisogna rifondare l’economia mondiale attraverso i sistemi economici dell’investimento privato, dei meccanismi di mercato, della valorizzazione mercantile e finanziaria delle foreste, degli alberi, delle acque etc.

The Copenhagen Call: l’appello di Copenhagen

Questo consenso nuovo, che chiamerei il consenso verde mondiale, è stato confermato il 24 e 26 maggio, ora, recentemente a Copenaghen, dove il governo danese ha preso l’iniziativa di convocare il mondo del business e della finanza e ci sono state più di mille persone che si sono riunite, il 24 e 26 maggio, nel World Business Summit, le quali hanno approvato un documento che si chiama: “The Copenaghen Call“, l’appello di Copenaghen, nel quale il mondo del business dice ai politici e ai futuri negoziatori del trattato di Copenaghen le condizioni del mondo del business. In effetti le richieste del mondo del business e della finanza girano intorno a due cose: la prima è che bisogna facilitare l’innovazione tecnologica secondo i tempi e i meccanismi del rendimento delle innovazioni tecnologiche e quindi in funzione a razionalità economiche e finanziarie, e la seconda è che appartiene ai poteri pubblici di creare questi fondi di incitamento e di facilitazione fiscale dell’iniziativa privata. Conseguentemente, The Copenhagen Call è un atto affermativo da parte del mondo del business che il capitalismo verde è in fondo la panacea e la soluzione ai problemi che dovranno essere trattati nel nuovo accordo mondiale. Tant’è che il Primo Ministro Danese, Rassmussen, ha dichiarato due giorni fa che assumeva completamente le proposte emerse dal World Business Summit con il Copenhagen Call e si faranno portatori delle idee espresse dal mondo del business.
Poi la seconda questione: e se ci fossero delle proposte, a Copenaghen, che non coincidono con le priorità fissate e scelte dal mondo del business che chances avranno per essere accolte? Finalmente, ecco che la grossa questione è che il Copenaghen è oggi vampirizzato dall’energia, cioè vale a dire che i nostri dirigenti ci stanno dicendo che il problema numero uno mondiale, che deve essere risolto in questo grande negoziato mondiale per il futuro dell’umanità, è l’energia. Ma l’energia è un problema numero uno mondiale per noi ricchi, non è un problema per i 2, 8 miliardi di gente povera di questo mondo, per gli africani, gli asiatici e l’America Latina il problema è l’acqua, il problema è l’alimentazione, il problema è la salute, il problema è avere un’abitazione decente, avere educazione, non è avere le automobili verdi, le case verdi. Anche perché si può dire che domani, che avremo 200 milioni di più di automobili verdi che circolano nel mondo, dove andranno questi 200 milioni di automobili verdi, in quali città? Circoleranno in quali strade? E poi avere automobili verde, case verdi, nuove case a energia passiva e attiva, che bisogna averle, a New York, a Singapore, a Melbourne, a Parigi contribuiranno a eliminare i tre miliardi di poveri nel mondo, oppure permetteranno di migliorare il livello e la qualità di vita del miliardo di gente ricca?
Quindi il problema diventa: “Perché i nostri dirigenti hanno dato priorità unicamente, nell’agenda dei lavori di Copenaghen, all’energia?“.

Il futuro dell’umanità si gioca sulla tutela dell’acqua

Ecco perché dobbiamo batterci affinché invece l’acqua, che è il problema numero uno, tant’è che il gruppo intergovernativo sul cambio climatico che ha fatto tutti questi rapporti dice che la principale conseguenza del cambiamento climatico concernerà l’acqua. E’ l’acqua che sarà il settore della vita più toccato dai cambiamenti climatici, ossia dallo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai, che alimentano tutti i grandi bacini idrografici del mondo. E’ l’acqua che sarà il campo di più grande devastazione e problema, gli studi del GEC (Global Environment Centre Foundation) o dell’IPCC confermano che nel 2050 il 60% della popolazione rischia di vivere in regioni a forte penuria d’acqua e, se c’è forte penuria d’acqua, significa che non hanno accesso alla vita. Quindi le conseguenze del cambiamento climatico importanti sono sull’accesso alla vita per mancanza d’acqua e Copenhagen, il nuovo trattato, non ha l’acqua all’agenda dei problemi e quindi bisogna batterci affinché l’acqua faccia parte integrante dell’agenda di Copenaghen e non si sa se ce la faremo: probabilmente le tendenze attuali ci dicono che non ce la faremo, ecco il problema, non è vero che i cittadini devono accettare come inevitabile l’impossibilità di pensare all’interesse e al futuro dell’umanità e del diritto alla vita, che è un diritto umano, che è un diritto sacro, perché la vita è sacra.
Quindi abbiamo sei mesi, perché la Conferenza di Copenhagen sarà dal 7 al 18 dicembre e credo che bisogni che tutti i movimenti per i diritti dell’uomo, per i diritti umani, i movimenti che si occupano di cittadinanza, dell’acqua, debbano impegnarsi in tutti i fronti: le religioni, stiamo tentando ora di far sì che ci sia un incontro importante dei rappresentanti delle religioni per fare un appello a Copenaghen, affinché la sacralità della vita sia rispettata e che Copenaghen si occupi veramente dei bisogni del mondo. Gli accademici, i ricercatori, perché i ricercatori, perché gli universitari non fanno delle grandi manifestazioni affinché, scientificamente parlando, nell’agenda di Copenhagen i veri problemi del futuro del pianeta siano presi in conto? Che si sia vecchi, giovani, universitari, uomini semplici della strada, pensionato, una donna, un buddista, un cristiano, credo che abbiamo un’agenda terribile da occupare nei prossimi mesi e essere presenti a Copenhagen sul posto.