Le parole per dirlo…

Cesare Zavattini. La verità.
(3:15)

Zoccola“, “Piduista“, “Pedofilo“, “Corruttore“, “Fottere“, “Mafioso” se corrispondono VERAMENTE a una zoccola, un piduista, un pedofilo, un corruttore, un vecchio porco, un criminale sono parole che non si devono pronunciare. La verità deve salvare la forma. La forma deve coprire la verità. Le parole dei servi. Il perbenismo di regime. Escort, ammiratore di minori di 18 anni, utlizzatore finale, senatore in attesa di giudizio, ma anche Lodo Alfano, sono parole che rassicurano. Lodooooooo Alfanoooooo, sembra una messa cantata. Non si colpisce più la sostanza di un’affermazione, ma la sua forma. La sostanza non si può smentire. La verità è ormai palese, quasi sempre volgare. E, per occultarla, per negarla, si giudicano le parole che la esprimono. Più queste parole corrispondono nel sentire comune alla verità, più chi le pronuncia è colpevole. Non della verità, che non è mai menzionata, ma delle parole per dirla. La menzogna, al contrario, può utlizzare ogni parola, ogni immagine. Il seno di Veronica Lario può essere esibito come un trofeo da Feltri su Libero, un giornale vicino al suo ex marito. E, allo stesso tempo, il direttore del TG1 Minzolini, può cancellare un’inchiesta della procura di Bari e un rapporto con una prostituta a Palazzo Grazioli la notte dell’elezione di Obama. La ripetizione e la diffusione del messaggio attraverso le televisioni rende vero il falso, universale la menzogna. In ogni luogo, su un traghetto, in un bar, alla stazione, nelle proprie case si afferma con la sua presenza il contrario del vero. Quando il vero si affaccia alla superficie di questa melma vischiosa satura del nulla, chi lo afferma diventa un bersaglio. Gasparri, Capezzone, Bonaiuti, Mimun, Fede, Vespa, Ferrara, Giordano e mille altri sono un immenso coro, una cacofonia cialtrona e ossessiva. Un rumore di fondo e di fogna che stordisce e che dà assuefazione. Gridare “zoccola” o “piduista” o “corruttore” è testimonianza di verità. Zavattini sdoganò per primo alla radio la parola “cazzo”. Ci sono mille parole ridotte al silenzio e alla schiavitù del giudizio di parte. Parole che aspettano di essere liberate. In un comizio, alla radio, in un dibattito. Il comune senso del pudore si è trasformato in una rappresentazione indecente del potere. Del potere fare e dire il cazzo che vuole.