Rwanda, una madre ci parla…

Rwanda, 15 anni dopo

Ho raccolto la testimonianza di una madre scampata al genocidio in Rwanda.
Sono passati 15 anni fa. Hutu contro Tutsi. Il mondo rimase a guardare. L’ONU non intervenne. Un milione di morti. Yolande aveva tre bambini. Li perse tutti. Adottò dei piccoli orfani che le diedero amore e la forza di vivere.
Yolande racconta storie atroci, di ieri e di oggi. Anche di oggi. Con assassini che eliminano i testimoni degli omicidi. Con i suicidi di chi non riesce a dimenticare. Il Rwanda è ovunque ci sia il razzismo, il pregiudizio nei confronti del diverso, l’egoismo, la presunzione di superiorità. Il genocidio è solo l’ultimo passo. Si elimina chi è inferiore, chi è valutato meno di una bestia. Prima lo si annulla, poi lo si uccide.

Sommario:
Ovunque, la morte
Ritrovare la vita nei bambini sopravvissuti
L’arma dello stupro
Italiani, venite in Rwanda

Testo:
“Mi chiamo Yolande, ho cinquantacinque anni, vengo dal Ruanda, ma sono naturalizzata Belga, e la mia vita è stata divisa tra il Ruanda ed altri paesi del mondo per portare la mia testimonianza sul genocidio avvenuto in Ruanda.
Sono stata sposata, avevo tre figli, un ragazzo di quindici anni e due ragazze di quattordici e tredici anni. Tutti i miei bambini sono stati ammazzati.
Tutta la mia vita dai quaranta anni in poi è stata distrutta, ed ho avuto dei problemi per sapere da dove ricominciare a essere mamma. Non è facile quando si è dei sopravvissuti e quando non si vuole restare dei sopravvissuti. Ho l’impressione che il mondo non ami chi non è stato vittima, ed io non volevo diventare vittima, volevo che questo fosse un passaggio verso la vita, e non continuare ad essere una sopravvissuta.

Ovunque, la morte

Ho lasciato il Ruanda dopo essere scappata dalla morte, perché i nostri assassini erano nostri amici, erano nostri vicini, erano talvolta dei genitori che uccidevano i loro figli e dei figli che uccidevano i loro genitori, delle mogli che uccidevano i loro mariti o viceversa. Dunque dappertutto c’era la morte, talmente tanta morte che alla fine io personalmente ho adottato la strategia di farmela amica per sopportare di averla tutto il tempo dinnanzi e sono riuscita alla fine a salvarmi.
Ed allora c’era anche la disumanizzazione che c’è sempre nel Ruanda. I primi massacri che ho visto avevo solamente cinque anni e sono stata ferita, tutti i massacri che si sono succeduti non sono mai stati chiamati con il loro nome, sono stati chiamati “turbine”, si diceva ogni volta “turbine aiutate” e nessuno poteva parlarne ne piangere i propri morti.
E il sistema scolastico… noi siamo stati esclusi dal sistema scolastico. Non avevamo diritto al passaporto, non avevamo, per esempio, diritto a sposare alti militari, non avevamo diritto ad amarli, perché nella tribù Tutsi quelli erano considerati nemici della popolazione, dunque andava bene così. Tutti i figli qui sono stati considerati come il nemico del popolo. Era come la fine del mondo, si era abituati a che ci chiamassero serpenti, figli di serpenti, figli di scarafaggi, a noi non faceva male e dunque per me questo ha favorito (audio disturbato) agli assassini che dicevano “non si uccidono degli umani, non sono esseri umani”.
Dopo la morte dei miei ho appreso che mio padre non c’era fra i sopravvissuti, mio marito era orfano, in quel momento non sapevo come fare per ricominciare a vivere.

Ritrovare la vita nei bambini sopravvissuti

Fino a quel giorno, quando ho visto degli orfani che venivano verso di me, fra di loro c’era il figlio di mio fratello minore che era sopravvissuto e tanti altri bambini. Ho allevato una ventina di orfani, non è stato per niente facile.
Oggi ne sono rimasti ancora quattro, tutti hanno fatto dei buoni studi e si sono dati da fare. Ma questi bambini mi hanno dato più di quanto gli ho dato io, vorrei dargli quelle poche cose  materiali se io potessi averle, ma loro mi hanno dato il gusto della vita, mi hanno ridato il valore di mamma, ed è questo che mi ha fatto diventare più tenera, perché l’amore che avevo per i miei figli l’ho dato a questi bambini. Questa vita mi ha fatto apprendere che potevo amare altri bambini, perché non sapevo che si potessero amare tutti i bambini, pensavo che potessi amare solo i miei. Ma, purtroppo, attualmente il problema non è quello di prima, il genocidio è stato  fermato, ma ancora oggi si uccide, uccidono quelli che sono riusciti a scappare di questo massacro perché hanno paura delle loro testimonianze. Noi siamo in pericolo, lo sappiamo, ma è più forte di noi, non possiamo tacere ciò che abbiamo vissuto. Ci sono tante donne che sono state violentate, orfani,  bambini che sono nati dagli stupri, sono dei bambini che non potranno mai essere accettati dalla società, io ne cresco uno, che spero un giorno di poter adottare, perché non è colpa sua.

L’arma dello stupro

Lo stupro è stato utilizzato sulle donne e le ragazze come un’arma del genocidio, ma oggi, ancora, ci confrontiamo con un altro problema il mondo ha abbandonato le donne, che sono sempre state considerate come delle complici del fronte Patriottico, messe in prigione tutto il tempo, e non lo abbiamo potuto sopportare. Persino oggi ancora siamo considerate complici.  Le donne che si ribellano non ricevono nessun tipo di aiuto. Noi abbiamo ancora dei superstiti che sono senza rifugio. Io, a casa mia a Kigalin, ospito una donna che non ha casa, che mi è stata affidata ad un chilometro da casa mia. Nella città di Kigalin, ci sono dei prigionieri accusati di genocidio che sono stati rilasciati con il pretesto della giustizia e vi sono coloro che non fanno che uscire dalla prigione ed i loro compito è di andare ad eliminare i testimoni di quello che hanno fatto. E questo è qualcosa che diventa terribile per il paese, visto che il Ruanda è un paese totalmente militarrizzato, ma la loro salvezza è in pericolo. E’ questo che è difficile, ma sto apprendendo che la polizia si sta impegnando a proteggere i sopravvissuti. Per me il Ruanda si inganna, non può trovare un poliziotto per ogni scampato, non sono nemmeno quattrocentomila. Non so come faranno, è veramente un problema per il paese ma soprattutto per noi; ed allora, per esempio, io che abito in Belgio… abbiamo anche dei problemi con i paesi occidentali nei quali domandiamo asilo perché talvolta, a causa del pericolo o a causa del trauma di essere là dove si è vissuto, è come prendere un ebreo e farlo andare a vivere ad Auschwitz, è questo ciò che viviamo, qualcuno che è sopravvissuto là e tutte le mattine incontra un assassino, perché sono stati rilasciati dalla prigione, e come in Ruanda non c’è più pena di morte, quelli che sono colpevoli sono usciti, persino quando c’erano veramente prove indubitabili, escono di prigione perché non sono più colpevoli. Quello che fa per esempio il Belgio, gli scampati sono sempre aggressivi con i responsabili del genocidio che sono scappati in Europa, e ce ne sono anche molti in Italia, ed in Belgio, recentemente, uno scampato ha ricevuto una coltellata da parte di un responsabile del genocidio libero in Belgio.
Ho cercato di fare dei progetti, ho cercato di fare almeno delle case di incontro o un piccolo centro dove si possono incontrare gli scampati solamente per scambiare qualche parola, per potere dividere dei pasti perché c’è gente che non mangia a forza di essere sola, noi abbiano dentro la solitudine, ciò che fa che adesso abbiamo anche dei casi di suicidio, degli scampati hanno cominciato a suicidarsi. Non è facile ma, tutto ciò che so, è di non fermarmi mai, penso che è per questo che sono sopravvissuta, perché il giorno che incontrerò i miei figli immagino che mi domanderanno: Mamma, hai arrestato qualcuno, cosa hai fatto? E non ho nulla da dire loro.

Italiani, venite in Rwanda

Sapete, l’Italia per me è un paese che per prima cosa amo, dove lavoro molto, mi hanno accolta, mi è piaciuto vedere che gli italiani sono aperti e spero che lo resteranno, e mi piacerebbe che l’Italia aprisse la sua gioventù alla coabitazione pacifica; mi piacerebbe che l’Italia sapesse dire alle sue generazioni che le nostre differenze non trasformino noi come nemici, che piuttosto con queste differenze dobbiamo costruire dei ponti che faranno incontrare gli uni gli altri perché ciò che separa gli uomini è meno di ciò che li unisce e che gli italiani sappiano che gli scampati al genocidio soffrono orribilmente e se la loro umanità interiore fa loro ricordare l’aiuto agli scampati che cercano il Ruanda, perché l’associazione della quale mi fido lavora per gli scampati al genocidio.
Ma c’è un’altra cosa che è più importante di questo che non domando solamente all’Italia ma a tutto il mondo è di votare una legge che punisca il negazionismo del genocidio, cosa che  proteggerà l’umanità.
In Ruanda è stata soppressa la carta d’identità etnica della gente e ci sono delle leggi per proteggere questo genocidio dei Tutsi e punire chi cerca di legittimare il genocidio, ma non esiste nulla per altri luoghi. Non avevo mai parlato prima all’Unione Europea, spero che i parlamentari europei cerchino di convincere i loro paesi a fare qualche cosa, ad aiutarmi a compiere la mia missione che ha fatto sì che io non sia morta né arrestata e che il mio servizio serva a qualche cosa per l’umanità.
Voi sapete che ho un progetto al quale mi piacerebbe che gli italiani aderissero veramente, perché noi abbiamo ricevuto una cattiva educazione da cattivi educatori a scuola che ci hanno fatto credere che non siamo simili, che dobbiamo essere dei nemici; ora mi piacerebbe fare una scuola che faccia imparare ai bambini i valori che il mondo sta perdendo, i valori della tolleranza e della solidarietà ed anche, se possibile, percorrere le scuole italiane per dire questo ai giovani, perché i nostri giovani sono la giovane generazione, è l’Italia di domani, è il Ruanda di domani, devono sapere la verità, e che più tardi possano fare delle scelte, dell’educazione che daranno ai loro bambini, ma anche che gli italiani possono aiutarmi a realizzare questo sogno, nei complessi scolastici, e dopo questo posso morire, e morire in pace.
Mi piacerebbe anche invitare gli italiani a cui piacerebbe venire a vedere quello che sto dicendo, mi piacerebbe, per esempio, il proprietario di questo blog “Vieni in Ruanda”; vi servirei per guidarvi sulla via giusta. Sarei molto contenta, e spero che dica di sì, perché è questo che ci ha permesso è già molto e lo ringrazio di tutto cuore.”