Rasman: gli agenti condannati

Il processo Rasman

L’omicidio Rasman non comparirà nei titoli dei telegiornali e non sarà discusso nei salotti televisivi dedicati alla Franzoni e allo stupro di Guidonia. Nessuno informerà che, per la prima volta nella storia della Repubblica, degli agenti della Polizia di Stato sono stati condannati per omicidio colposo. Nella Polizia ci sono uomini e donne che ogni giorno rischiano la vita per i cittadini. Nel calendario dei Santi Laici ci sono centinaia di poliziotti uccisi dalla mafia e dal terrorismo. Ed è per questo che episodi come quello di Trieste vanno resi pubblici, per evitare che succedano ancora. Perché gli italiani si possano rivolgere con fiducia alla Polizia, che deve proteggerli, solo proteggerli.

Sommario:
L’aggressione
Il processo
La sentenza
La famiglia di Riccardo
Una sentenza storica

Daniele Martinelli: “Salve a tutti, mi trovo al tribunale di Trieste per seguire il processo di Riccardo Rasman. Sconsiglio alle persone impressionabili la prosecuzione della visione di questo video, visto che tra poco vi mostreremo le immagini di come è stato ridotto dopo il delitto perpetrato da almeno tre agenti.Fatti che si svolgono ai danni di un ragazzo affetto da schizofrenia paranoide, malattia che contrae nel novantadue, quattordici anni prima di morire, durante il servizio militare in seguito a pesanti atti di nonnismo che subisce a Cordovado, la caserma militare di aeronautica.
Riccardo in questi anni si è curato al centro di salute mentale di Trieste, quindi conosciuto e schedato anche dalle forze dell’ordine visto che già nel novantanove, dieci anni fa, si erano presentate alla casa dei genitori in seguito alla segnalazione di un vicino di casa che si lamentava dei rumori molesti che Riccardo avrebbe arrecato, ebbene arriviamo all’ottobre de 2006, periodo nel quale nel frattempo Riccardo ha acquistato un monolocale in un palazzo nel quale vivono altre famiglie con soggetti in cura al centro di salute mentale.

L’aggressione

Alcuni testimoni riferiscono di aver sentito degli spari, degli scoppi di petardo, l’usciere del palazzo che si chiama Pollanz chiama la polizia per accertamenti, la polizia arriva, si presentano sull’uscio di casa di Riccardo, bussano, Riccardo non apre, chiamano i rinforzi, arrivano i vigili del fuoco armati di piede di porco che forzano l’ingresso e a questo punto entrano nell’appartamento buio di Riccardo.
Lo stato d’animo di Riccardo, essendo affetto da schizofrenia paranoide, peggiora quando sa di essere aggredito o teme di essere aggredito da persone non conosciute, poiché in questo modo si manifesta la malattia, ossia in manie di persecuzione. Perciò in quel contesto, Riccardo vive quel che già teme, ciò che la sua malattia gli fa temere.
Si vede aggredito da questi agenti che lo sbattono sul suo letto, lo picchiano, un agente gli blocca un polso con una manetta, l’altro agente gli blocca l’altro polso con un’altra manetta, un terzo agente cosa fa? Gli lega, con del fil di ferro, le caviglie perché evidentemente, essendo in stato di affanno e di agitazione, Riccardo ha sicuramente una reazione inconsulta in quel momento. Legato a mani e piedi gli agenti continuano a picchiare Riccardo, tant’è che dall’autopsia emerge anche una ferita alla testa presumibilmente inferta con un corpo contundente, forse con lo stesso piede di porco, non si sa, fatto sta che a quel punto viene preso di peso in posizione supina e messo a terra.
Riceve dei calci alla schiena, vomita sangue, uno dei due agenti gli si siede sulla schiena e a quel punto Riccardo bloccato muore per asfissia posturale perché nel frattempo le due manette gli sono state congiunte dietro alla schiena. Per cui in quella posizione con una persona seduta sopra la schiena non puoi far altro che morire di asfissia. Impiega un po’ di minuti a morire Riccardo, non muore in un istante.

Il processo

Fatto sta che la tragedia si è compiuta, viene aperta un’inchiesta d’ufficio, titolare dell’inchiesta è il pm Pietro Montrone che l’anno scorso, più o meno ad aprile, chiede l’archiviazione del caso data l’eccezionalità della situazione e l’esigenza di difesa da parte degli agenti. Senonché, invece, una indagine presentata dalla difesa della famiglia Rasman assunta dall’avvocato Giovanni Di Lullo, chiede l’opposizione dell’archiviazione, opposizione che viene accolta dal gip, gip che convoca la prima udienza nella quale è il pm stesso, che dopo aver letto l’indagine presentata dal legale di Rasman, dice: “Non stiamo qua nemmeno a discutere, ritiro la mia richiesta di archiviazione perché secondo me da queste indagini emergono particolari che vanno approfonditi e quindi si potrebbe configuare il reato di omicidio colposo ai danni degli agenti. Per cui l’udienza è stata rimandata ad una settimana fa, sempre qui al tribunale di Trieste, il rito scelto dagli imputati è quello abbreviato, perciò si tiene in camera di consiglio alla presenza soltanto delle persone interessate, chiuso al pubblico e di conseguenza ai giornalisti a meno che non siano gli stessi imputati a richiedere che il dibattimento sia pubblico.
si aspettava la sentenza, che non è arrivata dopo che si è dibattuto tutto il giorno, fin quando non è arrivata la giornata di oggi nella quale è stata convocata la seconda udienza per decidere questa sentenza, sentenza di condanna che andiamo a sentire.”

La sentenza

Pm Pietro Montrone: “Sì sì. ha accolto in buona parte le richieste del pm”

Daniele Martinelli: “possiamo saperlo pm scusi?”

Giuliana Rasman: Deve venir fuori la verità! Ricky non ha buttato nessun petardo! Deve venir fuori la verità! Ho capito ho capito è andata bene adesso stai calma. Non abbiamo vinto, stiamo tranquilli.

Giovanni Di Lullo: “Sono stati condannati i due capi pattuglia, i sovrintendenti Mis e Miraz, l’assistente De Biasi ed è stata prosciolta l’assistente Gatti.

Daniele Martinelli: “Condannati a quanto?”

Giovanni Di Lullo, difensore fam. Rasman: “Condannati a sei mesi di reclusione ciascuno con la sospensione condizionale della pena.

Daniele Martinelli: “Cos’ha inciso nella sentenza?”

Giovanni Di Lullo: “La motivazione sarà resa entro novanta giorni, che aspetteremo di leggere, adesso è stato letto solo il dispositivo con la dichiarazione di responsabilità di questi tre agenti.

Daniele Martinelli: “Perciò sono state accolte le richieste?”

Giovanni Di Lullo: “Sono state accolte le richieste della pubblica accusa nella maggior parte, una delle quattro persone è stata prosciolta (l’agente donna Gatti) per ragioni che per ora non siamo ancora in grado di valutare, evidentemente è emerso che la sua partecipazione non è stata influente nel determinismo della morte devo pensare io, però questa è una cosa che potremo valutare solo quando avremo le motivazioni.

La famiglia di Riccardo

Daniele Martinelli: “Signor Rasman vuole dire qualcosa?”

Duilio Rasman: “Mah, speravo in un’altra maniera, almeno che sia fatta una certa giustizia perché di quello che posso dire veramente, abbiamo ricevuto un colpo troppo grosso.
All’età che abbiamo un figlio che ha sofferto tanti anni, al quale io stavo sempre vicino, mi sono dedicato a lui in tutto e per tutto, è stato un colpo troppo grosso e penso che anche loro avranno una coscienza per dire che hanno sbagliato perché certe cose come queste me le ricordo soltanto in tempo di guerra, allora veramente, posso dire che a Trieste, un sollievo come questo ci sta, almeno un po’ di giustizia.

Daniele Martinelli: “Farete appello?”

Duilio Rasman: “Questo non lo so, bisogna parlare con gli avvocati.”

Daniele Martinelli: “Giuliana, questa sentenza?”

Giuliana Rasman: “Spero che ci siano dei riscontri in futuro e che si possa fare piena chiarezza su tutto quello che non è stato detto in queste udienze, perché si è parlato dei quattro poliziotti però ci sono molte altre cose che devono essere chiarite riguardo al perché loro hanno agito in questa maniera!
Perché sfondare una porta e massacrare una persona in questo modo… Riccardo non è morto per un collasso, Riccardo è morto per le botte in un lago di sangue, quindi ci devono essere delle spiegazioni sul perché loro hanno agito in questa maniera…”

Daniele Martinelli: “Che voi non sapete dare?”

Giuliana Rasman: “Mah ci sono negli atti scritte, dagli stessi poliziotti, determinate cose che gli avvocati già sanno, per le quali dovrebbe essere fatto un processo a porte aperte perché devono essere chiariti tanti altri particolari, perché non sono soltanto quattro poliziotti i responsabili, per noi sono molte altre persone, comprese quelle del palazzo in cui Riccardo aveva questo monolocale.

Daniele Martinelli: “Avvocato Anselmo, questa sentenza, allora, com’è?”

Fabio Anselmo: “Mah io non valuto il peso della sentenza nelle condanne, valuto la sentenza in sé perché secondo me ha un significato enorme e giusto, finalmente.

Daniele Martinelli: “Sei mesi per un omicidio.”

Fabio Anselmo: “E’ un omicidio colposo, sono forze dell’ordine quindi questo non dobbiamo dimenticarlo. Sulla misura della pena non mi piace espormi.

Daniele Martinelli: “Ma si pensa già all’appello o che cosa?”

Fabio Anselmo:“Adesso vedremo in base alle motivazioni della sentenza, noi sinceramente miravamo alla condanna e al riconoscimento di una responsabilità penale per la morte di Riccardo Rasman, e questo secondo me, è un dato di fatto importante sul quale si è lavorato.
Non dimentichiamo che siamo intervenuti mentre era in corso una richiesta di archiviazione!

Daniele Martinelli: “Ma perché per le forze dell’ordine c’è un occhio di riguardo?”

Fabio Anselmo: “Questo non sta a me dirlo, diciamo che è una questione di carattere politico sulla quale io preferisco non pronunciarmi, io entro nella questione processuale, diciamo che sicuramente è più difficile.

Una sentenza storica

Daniele Martinelli: Dunque sono due gli aspetti importanti di questa vicenda triste: il primo è l’eccezionalità del fatto che il pm, in sede di udienza, ritiri la propria richiesta di archiviazione.
Il secondo dato è questa condanna per omicidio colposo che se da un lato pare irrisoria, essendo di soltanto sei mesi per una vita umana, dall’altro configura, in questa Italia, uno scenario nuovo perché per la prima volta viene inflitta una condanna per omicidio colposo ad un poliziotto. Non era mai successo prima e sembra che dalla casistica risulti soltanto una condanna per omicidio preterintenzionale.
Questa sentenza finirà su tutte le riviste giuridiche e potrebbe cambiare il quadro anche per episodi in corso di trattazione o anche per episodi futuri.”

Daniele Martinelli: “Allora un anno fa il pm Montrone chiedeva l’archiviazione di questo caso e voi come gruppo regionale dei Verdi cosa avete fatto?”

Alessandro Metz: “Abbiamo pagato una pagina intera sul quotidiano locale “Il Piccolo” per poter dire quanto stava accadendo, in quanto da ciò che si leggeva negli articoli che uscivano, si stava molto attenti ai termini usati.
Per esempio non c’è mai stata la parola uccisione! Riccardo Rasman è stato ucciso.

Daniele Martinelli: “Quindi vuol dire che Il Piccolo non ne parlava?”

Alessandro Metz: “Ne parlava però in maniera tale per cui rappresentava la realtà in maniera sfalsata. Un conto è parlare di una persona che è stata uccisa, poi sarà un tribunale, un giudice a decidere se in maniera volontaria, colposa, preterintenzionale, quello non sta a me giudicare a un processo, però è stato ucciso.
Prima di pubblicarla il direttore del quotidiano Il Piccolo ha voluto che incontrassimo il legale del quotidiano perché andassimo a trattare parola per parola quello che si poteva pubblicare o meno. Nonostante fosse una pagina a pagamento, alcune parole non era possibile stamparle, una di queste era che i quattro poliziotti avevano ucciso Riccardo Rasman.
Già, dopo lunghe trattative abbiamo pubblicato comunque quello che ritenevamo importante dover dire, in maniera, su alcuni passaggi edulcorati perché altrimenti questa notizia non sarebbe mai passata nella maniera più opportuna.”

Daniele Martinelli: “L’importo sborsato dai Verdi del Friuli Venezia Giulia sono stati 3.500 euro pagati a questo quotidiano. Ora, dopo questa sentenza ci si chiede il perché, rimane l’amarezza in bocca sui motivi di tanta ferocia e di tanta cattiveria nei confronti di un ragazzo incensurato, che per altro era sofferente e conosciuto in città per la sua malattia.
A tal proposito non so se a questo punto ci sarà una richiesta d’appello, come già avete potuto sentire dalle interviste.
Vi lascio con queste poche dichiarazioni che ho raccolto dalla madre di Riccardo, la signora Maria. Per quanto mi riguarda è tutto.”

Maria Rasman: “Là erano d’accordo! Quello che abbiamo scoperto non è solo Polizia, là furono tanti mandanti perché il signor Pollanz lavora per conto della cooperativa sociale Domio, la stessa che ha assegnato l’alloggio in cui abitava Riccardo, tramite l’ufficio Basaglia.
Perciò là ci sono tanti collegamenti. Ha capito? Ci sono cose che ci sono state nascoste. E questi collegamenti io devo pregare che vengano fuori perché la nostra famiglia soffriva già da 14 anni, da quando Riccardo si ammalò durante il servizio militare, in ultimo me lo hanno ammazzato.
Noi invece… dopo invece che abbiamo fatto tanto per nostro figlio, ce l’hanno ammazzato. Noi eravamo così contenti di curarlo e dargli quello che gli serviva. Non c’era nessuno che lo aiutava. Questo si deve scoprire non può stare nascosto!
Mio figlio non era un bandito, non era un mafioso, si vede che qualcuno gli ha fatto una brutta denuncia.
Io le devo dire una cosa! Loro gli stavano alle calcagna da un anno e mezzo fin quando lo hanno trovato da solo. Perché non andava mai da solo, aveva paura, stava sempre con me o con mio marito, con la sorella. “Mamma vieni su a pulire un po’?” Noi andavamo nel suo alloggio, andava la sorella ma lui non era mai solo.
Quel giorno stette con me e con mio marito fino alle sette e mezza, ci lasciammo all’incrocio con mio figlio che mi disse: “mamma ci vediamo fra un paio d’ore…” Lei lo ha più visto? Curare un figlio trentaquattro anni e poi sparire all’improvviso è una vergogna!
Lasciammo le nostre terre slovene di Portorose per venire a vivere in Italia per stare più tranquilli, e invece qua in Italia ci hanno ammazzato il figlio senza sapere il perché! Con tutto il bene che gli abbiamo voluto! La nostra famiglia con questa storia è stata distrutta! Non so cos’altro dirle. La nostra famiglia è stata distrutta! Dopo una vita di lavoro… ”

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