Lo schiavo outbound

foto di lutherblissett71
Chi denuncia gli effetti della legge Biagi o della Treu è un visionario o un terrorista. In Italia va tutto bene: la disoccupazione non esiste più, siamo ai minimi storici. Ed è vero, dalla disoccupazione siamo passati direttamente allo schiavismo. Il professor Gallegati del dipartimento di Economia della Università Politecnica delle Marche fa alcune considerazioni sugli ultimi dati relativi all’occupazione. Sarà un terrorista anche lui?
Riporto, insieme alla sua lettera, uno dei ventimila casi di schiavismo che mi sono stati segnalati, presente nel libro Schiavi Moderni (71.000 copie scaricate). Si ride per non piangere.

Caro Beppe,
pare che il Governo proverà a sporcarsi le mani modificando la “legge Biagi”.
Prima di valutarne l’azione, facciamo il punto con dati, per una volta tempestivi, aggiornati all’altro ieri, sul precariato.
La durata dei nuovi contratti offre, da sola, un segnale preoccupante: oltre il 60% è inferiore a 3 mesi e solo il 2% ha durata di 1 anno o più. Dei primi, la metà ha contratto di 1 mese, mentre 1 lavoratore su 5 di una settimana (5 giorni, ovvio).
Il bollettino economico della Banca d’Italia ci informa che quasi il 50 per cento dei giovani lavoratori sono assunti con contratti a termine. Preoccupante, si dirà. E allora che dire quando si scopre che di questi neoassunti meno del 10% in un anno vede trasformato il proprio contratto a termine in un contratto a tempo indeterminato. A parte qualche “fondamentalista del mercato”, c’è ormai fin troppa evidenza che la legge Biagi non è stata in grado di offrire una seria risposta alla persistente frammentazione (territoriale, generazionale e per sesso) del mercato del lavoro. In più (vedi la Postfazione a Schiavi moderni) la pensione come se la pagheranno ‘sti precari? Occorrerebbe una riforma di lungo periodo in grado di offrire ai giovani lavoratori una prospettiva di stabilità. I dati dimostrano che, una volta concluso il contratto a termine, non c’è quasi nessuna prospettiva di lungo periodo. Salvaguardare la flessibilità senza precarizzare la vita delle persone è ciò che si deve pretendere.
Una possibilità per promuovere un ingresso duraturo nel mercato del lavoro è quella francese, mediante l’introduzione graduale di forme di protezione dell’impiego, nella forma di indennità di licenziamento, che dovrebbe aumentare gradualmente, mentre si allunga la durata di un impiego presso un’impresa. Tutto questo dovrebbe avvenire nell’ambito di un contratto a tempo indeterminato, uguale per tutti e indipendentemente dall’età del lavoratore. Al contempo, la durata massima dei contratti a tempo determinato dovrebbe essere ridotta a dieci-dodici mesi. La scommessa è: i giovani lavoratori accetteranno un percorso verso la stabilità partendo da un contratto che, solo in teoria. non ha limiti di durata?
Una seconda possibilità è proposta dal modello danese con la sua “flexsecurity”, ossia flessibilità economica unita a sicurezza sociale. In Danimarca un impiego dura in media quattro anni e ogni danese cambia almeno cinque volte datore di lavoro nel corso della sua vita lavorativa. Gli imprenditori hanno grande libertà di licenziare, mentre il lavoratore licenziato, dal primo giorno di disoccupazione percepisce un assegno da parte dello Stato pari all’80-90% del suo stipendio per quattro anni. E’ un modello sociale che mira a salvare le persone piuttosto che i posti di lavoro, investendo sulla formazione dei lavoratori per orientarli verso nuovi settori. Modello assai costoso, e l’Italia col debito che ha, se lo potrà permettere solo recuperando evasione fiscale (ricordiamo che questa equivale a ben 5 finanziarie pesanti l’anno).
La “legge Biagi” è diventata la cartina di tornasole delle visioni del capitalismo, dei 2 fondamentalismi, tra stato e mercato. Lo Stato deve e può trasformare il precariato in flessibilità. Troppo piano va il piano di riforma della legge 30.
Un abbraccio.
Mauro Gallegati
Un master alle spalle da “Schiavi Moderni
“Sono anch’io un lavoratore di call-center. Ho 27 anni, sono laureato e ho un master alle spalle. Sono uno di quelli altamente qualificati che stentano a trovare un lavoro dignitoso e che ripiegano nei call-center per avere qualche centinaio di euro in più in tasca.
Sono anch’io uno schiavo moderno. Circa un mese e mezzo fa sono stato assunto come operatore outbound (in pratica rompere le balle alle persone fino alle 9,30 di sera!) per una scuola di inglese di Napoli a 5 € lordi l’ora. Inutile dirti che in questo call-center siamo tutti laureati o laureandi (potendo scegliere scelgono il meglio, mi pare ovvio!). Questa mattina sono stato convocato dal mio supervisore in merito al mio recente rendimento: a detta sua scarso e aggravato dal mio comportamento “strafottente nei suoi confronti”. Che tradotto significa: rifiutarsi di venire a lavorare prima senza che il tempo in più venisse conteggiato, richiedere la copia del contratto che abbiamo firmato senza che ci fosse la data di fine rapporto e, cosa più grave di tutte, esprimere le mie idee (ci tengo a precisare comunque che il mio rendimento non è poi così scarso: non sono mai stato assente nel mese di marzo e ho già fatto un paio di contatti utili ai fini dell’obiettivo mensile).Tutti quelli che lavorano, hanno lavorato e, sono sicuro, lavoreranno in questo call-center firmano contratti di collaborazione a tempo determinato nei quali è lasciata in bianco la data di fine e soprattutto senza che ne venga data la copia firmata (i più fortunati hanno al massimo una fotocopia!).
Il supervisore, dopo aver ricamato in modo patetico sul mio comportamento “sovversivo” mi ha invitato a firmare le dimissioni e al mio rifiuto è andato su tutte le furie dicendomi che solo per tale comportamento meritavo di essere mandato a casa (rinunciare di firmare le dimissioni?). In evidente difficoltà mi ha fatto parlare con il direttore dicendo che non voleva altri casini e che stavo dando i numeri.”
L. F. 10.03.2006 18:14

Scarica "La Settimana" N°24-vol2
del 18 Giugno 2007