Bettino Dalemaxi

foto di nicolaborzi
Ho chiesto a Marco Travaglio, che in questi giorni ha pubblicato il libro “Uliwood Party” sulle figuracce del primo anno di governo Prodi, un post sulle ultime imprese telefonico-bancarie di Massimo D’Alema.
Caro Beppe,
un anno fa ti inviai un post sull’autocandidatura di Massimo D’Alema al Quirinale, sostenuta dagli ottimi Dell’Utri, Confalonieri, Ferrara, Feltri e Cirino Pomicino. Mi permettevo di ricordare che era un tantino azzardato eleggere presidente della Repubblica un tizio che, solo un anno prima, partecipava telefonicamente a una scalata bancaria con l’amico Consorte e tutta la consorteria. Osservavo pure che, prima o poi, quelle telefonate intercettate sarebbero venute fuori e forse qualcuno avrebbe potuto giudicarle incompatibili con la condotta che dovrebbe tenere un presidente della Repubblica.
Fortunatamente l’autocandidatura, pur così autorevolmente sostenuta, sfumò. Così oggi, almeno, non dobbiamo porci il problema delle eventuali dimissioni del capo dello Stato (ammesso e non concesso che la parola “dimissioni” alberghi ancora nel dizionario della politica italiana). A furia di sentir palare di “fughe di notizie” (inesistenti: le telefonate non sono più segrete) e di “attacco alla democrazia” (che Unipol abbia scalato anche quella?), a furia di sentir ripetere che “le intercettazioni non hanno rilevanza penale” (invece ce l’hanno, altrimenti i giudici non le avrebbero trascritte), stiamo perdendo il senso dell’orientamento. Per fortuna qualcuno ancora riesce a orientarsi nelle fumisterie politichesi e ad andare al sodo, cioè ai fatti.
Il D’Alema telefonico, come peraltro quello pubblico, si candida alla successione di Bettino Craxi: stessa concezione del rapporto politica-economia, stesse frequentazioni con affaristi senza scrupoli, stesso spregio per il libero mercato (quello vero), stessi attacchi alla magistratura milanese, stesso disprezzo per la stampa libera (le rare volte che vi si imbatte), stessa predilezione per le reti Mediaset quando si tratta di lanciare proclami obliqui al Paese (vedi l’autointervista dell’altra sera al Tg5).
In più, le intercettazioni aggiungono alcuni succulenti particolari. D’Alema parlò con Vito Bonsignore, eurodeputato Udc, pregiudicato per corruzione e detentore di un pacchetto del 2% di azioni Bnl, perché si alleasse con Consorte e la consorteria, ben sapendo che don Vito avrebbe preteso una contropartita politica. Consorte, tramite l’uomo di mano Latorre, voleva che D’Alema facesse un’analoga telefonata all’ingegner Caltagirone, editore del Messaggero e del Mattino nonché suocero di Casini: non sappiamo se poi D’Alema l’abbia fatta, ma sappiamo che il giorno dopo Caltagirone cedette.
Consorte esultava con D’Alema perché “prendiamo la Bnl a un anno dalle elezioni” e D’Alema non gli domandava che cosa c’entrasse la Bnl con le elezioni. Evidentemente lo sapeva benissimo.Di fronte a queste vergogne, D’Alema e i dalemini ripetono a macchinetta che “non c’è nulla di penalmente rilevante” e “non abbiamo conti all’estero”, come se il fatto di non essere imputati o in galera fosse un requisito sufficiente per fare politica. E come se Fassino, un paio di mesi fa, non avesse inserito Craxi – che era penalmente rilevante e aveva almeno tre conti all’estero – nel Pantheon del nuovo Partito Democratico. Naturalmente, quando nel Pantheon arriverà anche D’Alema, Craxi farà le valigie in nome della questione morale.”
Marco Travaglio