La fatica di nascere in Italia

Un mio amico ha avuto un bambino. Da tempo, per precisa scelta, cercava di evitare qualunque tipo di contatto con la pubblica amministrazione. Ma il ruolo di padre lo ha obbligato. Per iscrivere il figlio dal pediatra ha dovuto recarsi all’Asl che aveva bisogno del codice fiscale rilasciato dagli uffici della Agenzia delle Entrate che aveva bisogno del certificato di nascita rilasciato dal Comune che aveva bisogno dell’atto di nascita rilasciato dall’ospedale. Ospedale-comune-agenzia entrate-Asl-pediatra. All’agenzia delle entrate ha dovuto recarsi quattro volte perchè all’apertura degli uffici i bigliettini per le richieste erano già esauriti (con gli extra-comunitari in fila dalle cinque di mattina) e alla fine un impiegato ha avuto pietà di lui. La pediatra che gli è stata assegnata è a tre chilometri da casa sua. Ma è così difficile fornire di certificato di nascita, codice fiscale e pediatra il neonato in ospedale? Basterebbe un minimo di efficienza nella pubblica amministrazione e fare tutto via rete, con la consulenza dell’innovativo Stanca che si è imboscato in Senato.
Una pediatra mi ha scritto, pubblico la sua lettera. Andrà a finire che dovremo partorire all’estero.
Mi chiamo Lorella L.,
lavoro come pediatra di base. Vi suggerisco una inchiesta che secondo me potrebbe rivelarsi molto interessante. Lo stato miserevole in cui versa la pediatria italiana. Per vedere l’operato di noi pediatri basta girare per le strade. Bambini sempre più grassi, con denti da squalo e gambe storte. Pieni di medicine.
Eppure i pediatri aumentano i massimali, non permettono nuovi inserimenti, non fanno rimpiazzare i morti. I pediatri di città con 1.000 assistiti non fanno visite domiciliari, tanto i cittadini non hanno la possibilità di cambiare, si associano per guadagnare di più, si sostituiscono fra loro. I pediatri periferici lavorano da soli , senza alcuna garanzia. Questo avviene nella mia zona, la Asl di Ancona, ma credo sia un problema generalizzato.
Piuttosto che inserire un nuovo pediatra si ricusano i più grandicelli, privandoli de un loro diritto, ovvero di avere un pediatra fino a 14 anni. La Asl chiaramente favorisce il tutto perchè paga meno i pazienti in esubero di quanto dovrebbe pagare i primi 500. Per fare questo ci si basa sulla convenzione siglata da una oligarchia di pediatri massimalisti. La convenzione dice che per calcolare una carenza si devono contare i bambini fra 0 e 6 anni. Però i bambini restano per lo più fino a 14 (se non li mandano via) per cui i pediatri sono strapieni, guadagnano cifre folli, ma garantiscono un pessimo servizio, perchè è impossibile fare un buon lavoro con 1.000 bambini. La convenzione però non sarebbe tassativa. infatti la regione Umbria ha inserito nuovi pediatri calcolando una percentuale fra gli assistiti fra 6 e 14 anni. Ma altre regioni non ne vogliono sapere.
Praticamente se non si faranno nuovi inserimenti la pediatria in città come Ancona finirà quando i 14 pediatri attuali andranno in pensione, tutti contemporaneamente. Uno degli alibi è che non ci sono ricambi. Ma per formare un pediatra ci vogliono 5 anni e nelle scuole di specializzazione attualmente sono ammessi tre quattro medici per anno. Basterebbe programmare un numero maggiore. Chiaro che uno non pensa di fare il pediatra se sa che non entrerà in specialità o peggio che non riuscirà a lavorare. Il tutto sembra un discorso banale ma non lo è perchè riguarda la salute di milioni di bambini“.
Lorella