Cultura libera

La televisione negli anni ’50 e ‘60 tra censure, mutandoni alle ballerine, telefonate del politico baciapile di turno al direttore di testata, ha comunque prodotto qualcosa. Un qualcosa che si chiama cultura.
Fo e la Rame furono cacciati, Walter Chiari fu sospeso per un paio d’anni per una battuta. Disse che dalle tasche di Mussolini non cadde nulla quando fu attaccato per i piedi a piazzale Loreto. Se ci fossero stati i democristiani al suo posto sarebbe venuta giù la cassa del mezzogiorno.
Di quella Rai si può rimpiangere poco, ma quel poco basta e avanza.
I dirigenti della Rai pensano che gli italiani siano lobotomizzati o, invece, lo sono loro?
Questa domanda è decisiva per capire il palinsesto. Chi decide che la spazzatura si deve vedere nell’ora di massimo ascolto e la cultura a mezzanotte? Rutelli? Petruccioli? Marini e Bertinotti riuniti?
Il maestro Manzi insegnò a leggere e a scrivere a una generazione di italiani con ‘Non è mai troppo tardi‘. Questi sono l’analfabetismo di ritorno.
La cosa più rivoluzionaria che potrebbe fare oggi la Rai è pensare, credere, che gli italiani siano persone intelligenti, non audience, non m..da per vendergli prodotti a suono amplificato (Gentiloni quando ci togli dai c..ni la pubblicità megafonata, è illegale porca put..na!, violazione acustica di domicilio).
I soldi poi, soldi regalati. I nostri soldi, tasse o canone, buttati con pacchi, scatole, domande da subnormali. I soldi sono nostri. Non si possono regalare 100.000 euro per una risposta del c..o. E’diseducativo. Da vietare ai bambini. Non so, non credo che un servizio pubblico, legalmente, possa dilapidare i soldi dei contribuenti e degli utenti. Ma mi informerò. Dilapidi se vuole con i soldi dei presentatori e del pubblico in sala. Un’elemosina non si nega a nessuno. 5 euro a domanda sarebbe già troppo. L’italiano in sé non nasce deficiente, ma la Rai ambisce che lo diventi. Un piano quasi riuscito La Rai è, sulla carta, un servizio pubblico: lo diventi. Giornalisti indipendenti, abolizione dei salotti untuosi di approfondimento, cultura in prima serata e i politici, i nostri dipendenti, in televisione solo se hanno qualcosa da dire. Sarà di rado, forse mai, ma sarà meglio. Per noi e per loro.

I programmi di informazione e di cultura prodotti dalla Rai, almeno quelli, devono essere riutilizzabili gratuitamente in rete. Devono poter essere diffusi con licenza Creative Commons. Una volta trasmessi diventare di tutti.
Ps: Un’altra domanda per Gentiloni, che fine ha fatto la proposta di legge popolare con 50.000 firme Perunaltratv che le è stata presentata?