Il meno peggio

Marco Travaglio non è d’accordo con me su Fassino.
Io rimango della mia idea: che è il meno peggio dei Ds.
Gli si possono imputare ingenuità politica e ignoranza, nel senso che probabilmente non sapeva.
Ed è vero che, nel suo ruolo di segretario di partito, se non sai, non sei.
Ma se Fassino dovesse dimettersi per questo, il resto del Parlamento, quello dei prescritti, dei condannati in via definitiva, dei collusi con la mafia cosa dovrebbe fare?
Io un’idea ce l’avrei.

Caro Beppe,
non sono d’accordo con la distinzione che fai tra D’Alema e Fassino. In attesa che i magistrati stabiliscano chi e come abbia eventualmente violato leggi, già sappiamo (dalle intercettazioni segrete, ma pubblicate dal Giornale) che Fassino non diceva la verità quando assicurava che a Consorte s’era limitato a chiedere informazioni senza intervenire nella scalata di Unipol a Bnl.
Oltre a informarsi, dimenticava di informare Consorte che quel che gli stava raccontando – il “concerto” fra Unipol e i suoi alleati occulti, prim’ancora di lanciare l’Opa obbligatoria per legge – era un reato. Insomma partecipava sentimentalmente all’operazione, consigliava, tifava (“Siamo padroni di una banca… Portiamo a casa tutto…”).

Esattamente come faceva il tesoriere del partito Ugo Sposetti, in evidente crisi di identità (“Noi dell’Unipol…”).
Vedremo, se e quando uscirà la sua parte di chat line, che cosa diceva D’Alema.

Purtroppo, come mi capitò di dire il 14 gennaio 2004 all’assemblea dei girotondi (l’intervento integrale è sul sito www.marcotravaglio.it), al vertice dei Ds siedono personaggi che vengono da lontano e che non hanno mai voluto fare i conti con Tangentopoli. Cioè con quanto era emerso di almeno politicamente e moralmente rilevante dai processi di Mani Pulite.

Fassino, come hai giustamente ricordato, è torinese. Anche Primo Greganti, condannato tre volte (ora per corruzione, ora per finanziamento illecito) per aver foraggiato il Pci-Pds, è torinese. E chi era l’esponente più in vista del Pci-Pds torinese?
Penalmente su Fassino non è mai emerso nulla. Ma politicamente? Nel 2000, quand’era ministro della Giustizia, Fassino propose – testualmente – di “depenalizzare i reati finanziari“, compresa la bancarotta. Che gli era saltato in mente?

C’è una storiella che ho raccontato alla manifestazione anti-Tav: quella dell’ipermercato “Le Gru” nel comune rosso di Grugliasco. Il più grande ipermercato d’Europa. Lo costruirono le coop rosse per conto della francese Trema e dell‘Euromercato (prima Montedison, poi Standa cioè Berlusconi).

Il faccendiere Alberto Milan confessò di aver pagato tangenti a politici locali, fra cui due sindaci comunisti, Ferrara e Bernardi.
“Se Bernardi ha preso tangenti, io sono un cretino“, dichiarò solennemente l’allora segretario provinciale Sergio Chiamparino. Due giorni dopo Bernardi confessò. E alla fine venne fuori che il segretario autoproclamatosi “cretino” aveva avuto dal faccendiere un gentile omaggio: un telefonino cellulare.
Ma venne fuori che dell’affare Le Gru si era interessato anche Greganti, insieme al suo quasi-socio Aldo Brancher, allora braccio destro di Confalonieri, oggi deputato di Forza Italia e sottosegretario alle Riforme Istituzionali (quello indicato dalle carte dell’inchiesta milanese come il collettore dei versamenti di Fiorani & C. ai politici del centrodestra). E anche Fassino.

Nel 1993 il presidente di Euromercato Carlo Orlandini disse ai giudici di aver incontrato nel 1989 Fassino, allora segretario provinciale del Pci, per parlare del progetto Le Gru. E, subito dopo l’interrogatorio, mandò un fax a Fassino per dirgli quel che aveva dichiarato ai giudici. Che bisogno aveva di fare quel fax violando il segreto investigativo? E che c’entrava il segretario di un partito con un ipermercato?

Qui non c’è niente di penalmente rilevante. C’è qualcosa di forse più grave: una concezione vecchia e malata della politica, che non riesce a distinguersi dagli affari.
Di penalmente rilevante c’è invece la vicenda dell’on. Cesare De Piccoli. Nel ’93, quand’era europarlamentare del Pds eletto a Venezia, di osservanza dalemiana, venne inquisito da Di Pietro per una mazzetta della Fiat: 200 milioni su un conto svizzero denominato “Accademia”.
Chiese al giudice di essere assolto, ma ottenne solo la prescrizione: i soldi li aveva presi, il reato c’era tutto (finanziamento illecito), ma per sua fortuna era trascorso troppo tempo. Subito dopo D’Alema lo promosse sottosegretario del suo governo, e guardacaso proprio all’Industria. Ultimamente è passato a Fassino, che l’ha eletto capo della sua segreteria. Ora è responsabile del settore economia e industria del partito. Lui di industria sì che se ne intende. O almeno di Fiat.”

Marco Travaglio.