Un Nobel per Milano

Oggi ho deciso di pubblicare la lettera di un premio Nobel, di Dario Fo che si è candidato come sindaco di Milano.
Io mi schiero con lui, un uomo onesto, intelligente e, anche se ha una certa età, con idee nuove sulla mobilità, sull’energia, sull’integrazione, sull’inquinamento.
Dario è un uomo che ci invidia tutto il mondo, per migliorare Milano è perfetto.

Cari amici,

sono Dario Fo e vengo a dirvi che in un attimo di follia mi sono buttato in questa avventura: concorro alle primarie per essere scelto come sindaco di Milano, insieme ad altri tre candidati.

Da tempo mi sono reso conto che la situazione fisica e umana di Milano è a dir poco tragica.
Qualcuno in seguito al mio gesto mi ha quasi aggredito, chiedendomi: “Ma chi te lo fa fare? Dove vuoi arrivare? Che t’importa di diventar sindaco? Sei un uomo che ha goduto di tutte le fortune: le tue opere sono rappresentate in tutto il mondo, hai ricevuto riconoscimenti straordinari, sei pure Nobel… ma che vuoi ancora!?”.

E io rispondo: “Voglio vedere la mia città un po’ più civile, un po’ più vivibile, meno caotica, con una periferia meno triste, anzi disperata.

Non posso soffrire il proliferare di furbi e incoscienti che pensano solo a far cassa, svendendo palazzi e beni del Comune, comprese l’aria, l’acqua e la terra. Per questo mi sono buttato e mi sto dando da fare come un pazzo.”

Qualche giorno fa c’è stata una grande manifestazione con migliaia di ragazzi delle scuole che protestavano contro i tagli imposti dal Ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, e contro il progetto che li vuole selezionati in cittadini di prima, seconda e terza categoria. Sono andato in mezzo a quei giovani vocianti e giustamente incazzati.
Speravo di trovarci anche il mio antagonista maggiore, l’ex prefetto Bruno Ferrante, ma non c’era.
Ho pensato: “Forse teme le intemperanze dei ragazzi.”

Il giorno appresso mi sono trovato al quartiere Isola fra una folla di cittadini che manifestavano contro le speculazioni edilizie che il Comune sta realizzando in quella zona dove ha in programma di distruggere un parco dal nome poetico, il Bosco di Gioia, abbattendo ogni pianta per farci crescere palazzi enormi e grattacieli.
Ho cercato il mio antagonista appoggiato dai Ds e dalla Margherita… ma lui non c’era.

Mi dicono che è stato visto in un palazzo del centro a conversare con grandi imprenditori del mattone e della calce.

Qualche giorno dopo dei compagni hanno chiamato me e Franca perché ci recassimo subito in Via Lecco, dove dei rifugiati politici, fuggiti da Eritrea, Somalia, Sudan, disperati hanno occupato un palazzo abbandonato da sedici anni. Il Comune ha in progetto di buttarli fuori all’immediata. Anche il mio concorrente Ferrante è stato chiamato per offrire la propria solidarietà a quei 273 diseredati.
Ma lui non c’era. Ha dichiarato che non sarebbe venuto a parlare coi rifugiati politici. E ha aggiunto: “Non è così che si risolvono i problemi. Quel palazzo è di privati, l’occupazione è illegale.”

Ma se c’è qualcuno che è illegale è lo stato e il comune, che non permettono loro, pur avendo il permesso di soggiorno di ottenere un lavoro, una casa e una dignità. Pure il contributo mensile di 400 euro è stato loro da mesi sospeso.

Accidenti! Ma quando riuscirò a vedere il mio antagonista, o almeno qualcuno dei Ds e della Margherita che lo sostengono?!
Al Comune sta passando il progetto per la costruzione di altri grattacieli alla vecchia fiera… un disastro per la popolazione che abita intorno. Il quartiere si ribella al progetto e ha indetto una riunione pubblica per discutere della situazione grave alla quale era invitato anche Ferrante. Io ci vado, ma Ferrante non c’è.

Dov’è Ferrante?

Ieri hanno deciso di vendere a privati, un enorme antico palazzo di proprietà comunale, già casa popolare, invece di restituirlo ai legittimi inquilini che lo abitavano prima della ristrutturazione durata 20 anni, e che oggi vivono in abitazioni fatiscenti.

Bisogna protestare, muoversi: Ferrante vieni anche tu? Ferranteeee!… Non mi risponde…
Finisce che mi toccherà andarci da solo.”

Dario Fo