Le dimissioni della democrazia

Oggi voglio chiedere le dimissioni della democrazia, di questa parola di cui ancora ci riempiamo la bocca e che non significa più nulla.

Indignarsi per l’assoluzione di Berlusconi? Non ne vale la pena.
Dobbiamo indignarci una volta al giorno?
Per la legge sulla giustizia, per la legge sulle elezioni politiche, per quella sulle intercettazioni?
Per la salva Previti, per la depenalizzazione del falso in bilancio?

Siamo seri, abbiamo cose più importanti da fare che indignarci per il comportamento dei nostri dipendenti.
Li abbiamo votati noi, sapevamo chi erano, cosa avrebbero fatto.
La colpa è nostra, non loro. Di noi che non muoviamo un dito.

Le opposizioni, i sindacati, la cosiddetta società civile subiscono di tutto senza fiatare, o emettendo deboli lamenti.
Basta parlare di democrazia, dichiariamoci sudditi e ritiriamoci nel nostro prezioso privato, dove già per la maggior parte stiamo.
Non facciamo finta di protestare, è più dignitosa la rassegnazione.

Abbiamo ciò che meritiamo, siamo diventati dei guardoni del potere:
del potere, non della democrazia.
Non nominiamo più questa parola, non prendiamoci per i fondelli.

Non esistono più i contropoteri, esiste solo il potere della collusione.
E la controinformazione al massimo trapela.

Io non mi sento più cittadino italiano. Non mi sento rappresentato dalle istituzioni. Non mi sento rappresentato dal governo. Dall’opposizione. Da nessuno.

E sto pensando seriamente di restituire la mia carta di identità che serve, ormai, solo per dormire negli alberghi.

PS: Mi danno per presente all’incontro “Dialogo sulla Giustizia” di Antonio Di Pietro il prossimo sabato mattina all’Unione Commercio, a Milano.
Devo informarvi che non ci sarò, ma che invierò una lettera ad Antonio Di Pietro riguardante l’iniziativa Parlamento Pulito che, se vorrà, potrà leggere insieme ai miei saluti.