Lo chiamano copyright ma è censura: sarà battaglia al Parlamento europeo

di Isabella Adinolfi, Efdd – Movimento 5 Stelle Europa.

Al Parlamento europeo si è tenuta un’importante conferenza, intitolata “Patrimonio culturale in Europa: collegare passato e futuro”. È stata un’occasione importante per discutere dell’importanza dell’arte e della cultura in Europa, non soltanto come espressione più genuina della nostra identità, ma anche come mezzo attraverso il quale si può trovare soddisfazione professionale e contribuire a rilanciare l’economia.

Sono contenta che sia stato ribadito come la cultura sia in primo luogo un bene comune e un diritto fondamentale che appartiene a tutti i cittadini: per questo motivo lo Stato dovrebbe supportare, anche attraverso investimenti pubblici, artisti e creativi. Si ricollega a questo concetto anche un’altra mia iniziativa che è stata votata la settimana scorsa in Commissione cultura: se vogliamo mantenere la nostra diversità culturale ed evitare che le espressioni artistiche siano considerate alla stregua di meri oggetti di scambio e consumo, bisogna escludere i beni culturali dai grandi accordi commerciali con i paesi terzi.

Non mi sono invece trovata d’accordo con una certa narrativa sul diritto d’autore, che plaude alla proposta di direttiva recentemente votata nella commissione giuridica. Come sappiamo, Internet ha rivoluzionato non soltanto i modelli di business delle aziende, ma anche e soprattutto il modo di creare e fruire l’arte e la cultura. Una ventata d’aria fresca che ha democratizzato un settore che prima era appannaggio di pochi. Oggi però assistiamo all’affermazione di un oligopolio delle grandi multinazionali digitali, che assorbono quasi totalmente il traffico utenti e, di conseguenza, gli introiti pubblicitari, aumentando in tal modo i propri profitti. A questo aumento però non corrisponderebbe, a detta soprattutto dell’industria musicale e cinematografica, un corrispondente incremento dei guadagni dalle royalties dei diritti d’autore. La direttiva sul diritto d’autore avrebbe il preciso intento di combattere questa disparità, chiamata anche value gap.

Sono chiaramente d’accordo che gli artisti e i creatori, come tutti i lavoratori, vengano adeguatamente ricompensati per il proprio lavoro (ho pure presentato un emendamento a questo fine). Quello che tuttavia contesto è il mezzo attraverso il quale si intende raggiungere questo obiettivo. Se questi giganti del web, forti della loro posizione monopolistica sul mercato, rifiutano di sedersi al tavolo e negoziare con gli autori, ciò che si dovrebbe fare è porre rimedio a questa situazione anticoncorrenziale, soprattutto attraverso due strumenti: l’applicazione della normativa antitrust e la cessazione delle pratiche di elusione fiscale.

Tuttavia in Europa vi è molta ipocrisia al riguardo e si preferisce implementare una politica di “gendarmeria”, piuttosto che scardinare i paradisi fiscali. Ma una tale politica rischia di essere una e vera e propria mannaia sulla libertà di Internet. Ci ricordiamo gli effetti di tali politiche negli anni Novanta, quando si tentò di contrastare il file sharing con la linea dura? Totalmente fallimentari. Gli stessi risultati fallimentari si sono avuti, per quanto riguarda la diffusione online di contenuti editoriali (la c.d. link tax), in seguito all’introduzione di misure restrittive in Spagna e Germania nei confronti di Google News.

Internet, nato come spazio di condivisione libero e aperto, rischia di essere imbrigliato e controllato da pochi soggetti privati, a cui non può essere demandato il compito di salvaguardare e garantire la libertà di espressione, posto che questi sono mossi solo dalla ricerca del loro profitto. Tutto ciò è inaccettabile e mi batterò con tutte le mie forze affinché ciò non accada.