La fantastica storia di Piera Aiello in Parlamento con il MoVimento 5 Stelle: la mafia ha perso

di Roberto Galullo sul Sole 24 Ore

Sul suo profilo facebook Piera Aiello, 51 anni di Partanna (Trapani), ha ringraziato i siciliani per aver dimostrato, con la matita, che quella cappa che premeva sul cielo della Sicilia «è stata soffiata via da una corrente inarrestabile di speranza e onestà». Il 30 luglio 1991 Piera Aiello ha dovuto lasciare la Sicilia. Il 4 marzo 2018, scrive, “sono tornata da cittadina libera, con lo scopo di far riscoprire a tutti noi, siciliani, quel fresco profumo di libertà che ostacolerà il puzzo di compromesso morale”.

La storia di Piera Aiello, testimone di giustizia, che potrà riavere pubblicamente indietro il suo volto dopo aver messo faccia e cuore per il M5s con il quale ha raccolto 77.950 voti, quasi il 52% dei voti nel collegio uninominale di Marsala, si incrocia a filo doppio con quella di Paolo Borsellino.

Piera era la moglie di Nicola Atria, figlio del boss don Vito, ucciso il 18 novembre 1985 a soli nove giorni da matrimonio. Nicola – «immischiato nello spaccio di droga, che girava armato e che quando provavo a dirgli di smettere con questa vita lui mi picchiava», ha raccontato tante volte Piera – venne ucciso il 24 giugno 1991 sotto gli occhi della moglie. Quel giorno lei, nel ristorante aperto da soli tre giorni, si salvò per miracolo. Il marito neanche si accorse di morire, passando dalla vita alla morte in pochi secondi, ammazzato a colpi di fucile a canne mozze.

Piera non ci pensò due volte. Denunciò gli assassini e da quel giorno la sua vita non fu, né poteva essere, più la stessa. Una scelta naturale per chi rifiutava la cultura mafiosa, sigillata dal fatto che qualche mese prima dell’omicidio del marito aveva partecipato ad un concorso per diventare agente di polizia. Nicola Atria non fu contrario. «Mi disse che poteva far comodo, dopo tutto, un poliziotto in famiglia, ma quando gli dissi che se non si sistemava la testa, lui sarebbe stato il primo che avrei sbattuto in galera, quel giorno, per l’ennesima volta, mi picchiò».

Un amico carabiniere e l’allora sostituto procuratore di Sciacca, Morena Plazzi, la condussero a Terrasini per conoscere il Procuratore capo di Marsala, Paolo Borsellino.

Dopo quell’incontro Borsellino, scrive Piera Aiello sul suo profilo facebook, «non rappresentò solo il magistrato che si occupava delle mie testimonianze, ma diventò un amico, un padre a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto (e sono stati tanti!)». Fu Borsellino a convincere Piera Aiello a ricevere il contributo che lo Stato eroga ai testimoni di giustizia e che lei non voleva. «Borsellino si fece una gran risata – scrive ancora Piera – dicendomi di prenderli perché io ero diventata una collaboratrice di giustizia, cioè ero sotto tutela dello Stato e dovevo considerare quest’ultimo come un padre che mi manteneva». Quando iniziò a collaborare non c’era il servizio centrale di protezione ma l’Alto commissariato, alle cui carenze Borsellino cercava di sopperire «dandoci qualche soldo per arrivare alla fine del mese».

Poi il silenzio di una donna costretta a vivere con un’altra identità fuori dalla Sicilia, costretta persino a usare il codice fiscale di un’amica per le ricevute fiscali. Un silenzio che uccide, lei stessa ricorda. Dal 1991 al febbraio ‘97 per lo Stato era solo un fantasma. La situazione si sbloccò in meglio per lei solo nel febbraio ‘97, dopo le pressioni dell’Associazione Rita Atria, di don Luigi Ciotti e di Rita Borsellino.

Lo stesso silenzio e la stessa solitudine spinsero la cognata Rita Atria, una settimana dopo la strage di via D’Amelio in cui perse la vita Borsellino con gli uomini della scorta e alla quale si era legata come una figlia ad un padre, a suicidarsi lanciandosi dal settimo piano di un palazzo a Roma, dove viveva in segreto.

Piera Aiello, che il 10 dicembre 2016 è stata nominata presidente onorario dell’associazione antimafie e antiracket “Paolo Borsellino onlus” e il 23 maggio 2017 è stata eletta Presidente dell’associazione antimafie e antiracket “La verità vive! Onlus” si è sentita chiedere tante volte perché si è candidata con il Movimento 5 Stelle e la risposta è sempre la stessa: «In questo preciso momento della politica è l’unico movimento che mi dà fiducia, ha gli stessi miei ideali, ossia, verità, giustizia, legalità, trasparenza. È un movimento giovane, con idee innovative e concrete, che pensa di fare il bene dei cittadini con concretezza, che non fa false promesse come tanti hanno fatto. E’ un movimento che non ha paura di nulla e di nessuno, che non scende a compromessi, proprio come me, sicuramente io e il movimento porteremo la questione testimoni di giustizia alla luce, con la mia voce, ossia la voce di chi ha vissuto da 26 anni le fatiche che un testimone affronta, i disagi, le negazioni, esule dal proprio paese, la Sicilia».