FULL South Working: investire su innovazione e creatività per il futuro del lavoro

Sull’autore:

Alessandro Cacciato è nato a Vicenza nel 1978 e si è trasferito in Sicilia nel 1994. Da oltre venti anni lavora presso il sistema delle Camere di Commercio dove si occupa di promozione e formazione nel settore dell’impresa digitale. Dal 2013 collabora con il centro culturale indipendente Farm Cultural Park di Favara (Ag). Nel 2015 è speaker al TEDx della Scuola Superiore di alta formazione dell’Università di Catania. Collabora dal 2017 a progetti di riattivazione urbana. È autore dei libri: “Il Sud Vola. Viaggio tra startup e giovani innovatori. E la pubblica amministrazione?” (2015), “Il Petrolio? Meglio sotto terra” (2016) e “La Sindrome del Gattopardo: La cultura dell’innovazione nell’era post lockdown(2021)


Per chi vive e lavora nel Mezzogiorno d’Italia le notizie relative al drammatico esodo dalle regioni del Sud verso il nord sono purtroppo ormai arcinote, ma leggere i numeri fa sempre un certo effetto.

I Numeri

  • Dal 2019 al 2065 la popolazione italiana dovrebbe ridursi di 6.9 milioni di abitanti di cui 5.1 milioni in meno al Sud e 1.8 milioni al Nord;
  • Dal 2015 la popolazione italiana ha smesso di crescere;
  •  Nel 2018 si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 138.000 residenti di cui 20.000 sono emigrati all’estero;
  • 2.000.000 [circa] gli occupati meridionali che lavorano nel Centro Nord;
  •  2/3 dei meridionali che si sono trasferiti al centro-nord, per il 28% aveva un diploma ed il 30% una laurea.

Il lockdown della primavera 2020 ci consegna però alcuni dati in controtendenza:

  • 45.000 gli addetti che lavorano in smart working dal Sud per imprese del nord;
  • 100.000 lavoratori potrebbero aver lavorato dal Sud per aziende del nord, se si tengono conto delle piccole e micro imprese con meno di 10 addetti;
  • 60.000 laureati potenzialmente interessati al south working;
  •  85,3% tornerebbe a vivere al Sud se in grado di poter lavorare da remoto.

Sono dati dello SviMez pubblicati all’interno del documento “L’Italia diseguale di fronte all’emergenza pandemica: il contributo del Sud alla ricostruzione”. In questo breve articolo voglio porre l’attenzione su di un paragrafo di questo studio che tratta proprio il tema del South Working.

Il South Working

Questo fenomeno si è generato a partire dal lockdown che ha investito la nostra Nazione nel marzo 2020, quando in diretta tv abbiamo assistito al primo grande esodo dal nord verso il Sud verificatosi nel dopoguerra: si trattava di migliaia di studenti e lavoratori fuori sede che si accingevano a ricongiungersi con i propri familiari. Da quel momento in poi, coloro i quali ne hanno potuto usufruire, hanno lavorato in modalità smart working dalle proprie regioni di appartenenza generando un momentaneo nuovo assetto sociale ed economico.

Circoli Virtuosi

Questo fenomeno – se confermato – potrebbe però avviare un circolo virtuoso per la “riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno”. Una platea per futuri interventi in questa direzione potrebbe essere formata da circa 60.000 giovani laureati che tornerebbero in pianta stabile al Sud. Svimez e l’Associazione South Working, individuano un prezioso pacchetto di interventi concentrato su 4 cluster per facilitare l’attrazione di lavoratori qualificati e dunque interrompere i processi di fuga del capitale umano qualificato dal Sud:

  • Incentivi di tipo fiscale e contributivo;
  • Creazione di spazi di coworking;
  • Investimenti sull’offerta di servizi e famiglie;
  • Infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il divario nord/sud e tra aree urbane e periferiche.

Un elemento in più

Per ottenere però un pieno south working – a mio avviso – bisognerebbe adattare le misure sopra elencate – assolutamente efficienti al centro nord – alle mentalità del nostro Sud. È giunto il momento di avviare urgentemente alcune azioni inedite che possano generare anche dal basso la richiesta di spazi di coworking e servizi dedicati all’innovazione. Analizzando i dati del registro delle PMI Innovative e Startup, noto infatti come in alcune provincie dell’estremo Sud Italia i numeri siano ancora troppo esigui, mettendo in risalto l’assenza della cultura dell’innovazione, senza la quale la nascita di incubatori d’impresa e/o coworking non garantirebbero i risultati attesi, soprattutto in questo periodo di riorganizzazione nazionale post-pandemico dove tutti gli sforzi economici sono rivolti proprio all’innovazione.

Fantasia e Creatività

In ancora troppi ambienti culturali, economici, burocratici e sociali, fantasia e creatività non vengono ancora riconosciute quali elementi fondamentali e fondativi delle innovazioni ma al contrario vengono ritenuti elementi da coltivare nel tempo libero. Partiamo da una semplice constatazione: nel Sud e nelle aree interne di tutta Italia, quali sono i luoghi dedicati alla fantasia ed alla creatività? Dove è possibile prendere ispirazione per poter creare una nuova idea partendo da un foglio di carta bianco? Non esiste alcuna idea innovativa senza aver prima coltivato questi due ingredienti. I Coworking sono degli ambienti dove sarebbe meglio arrivare già forniti di idee [le quali possono essere contaminate grazie alla convivenza lavorativa con altre persone] ecco perché bisogna creare delle “anticamere” dell’innovazione. Questa potrebbe essere una strategia da attivare adesso, prima che arrivino i fondi legati alla nuova Programmazione Europea e del Recovery Fund.

I punti sui cui investire tempo e risorse

Dobbiamo cercare di dedicare la nostra attenzione su queste precondizioni, mai sviluppate nel recente passato. Occorre colmare i vuoti per creare un ambiente sociale ed imprenditoriale più attento non solo agli strumenti ed alle innovazioni tecnologiche – per le quali esiste già una comunicazione ed una struttura organizzata – ma anche alla cultura dell’innovazione, ovvero alle attività che siano capaci di costruire un assetto mentale che spinga ad essere produttori di innovazioni e non solo dei meri consumatori. Per raggiungere questo traguardo sono chiamati all’azione tutti gli attori del mondo della formazione dalle scuole elementari fino alle università per arrivare ai corsi di specializzazione professionale, investendo su workshop che possano aiutare a trasformare le idee in progetti e dunque “aggredire” in modo efficiente i futuri bandi nazionali ed europei. Solo a questo punto gli strumenti indicati dallo studio dello Svimez potranno essere ancor più efficienti per un “Pieno” South Working.


PER APPROFONDIRE: BIBLIOGRAFIA RAGIONATA