Dai Partiti alle Iperintelligenze: le ecologie della partecipazione digitale

Massimo Di Felice è docente di teoria delle reti digitali presso l’Università di S. Paolo USP (Brasile), direttore del centro di ricerca internazionale Atopos e autore di articoli e libri tradotti in diverse lingue tra cui La cittadinanza Digitale (Meltemi, 2019) e Net-attivismo (Ed Estemporanee, 2017).

Sito: www.massimodifelice.net

E-mail: massimo.atopos@gmail.com


Perché si parla di crisi dei partiti politici?

Partiamo da una constatazione: la forma partito è oggi, nell’epoca delle reti digitali e della connessione, non soltanto un modello di organizzazione anacronistica ma l’intralcio sistematico alla partecipazione dei cittadini alla politica. I partiti trasformano i cittadini in spettatori del dibattito pubblico, riducendo la loro partecipazione ad un voto ogni 4 anni. Un atto ritualistico, un rito senza mito. In tutto il mondo assistiamo ad un incremento dell’astensionismo e della distanza tra i cittadini e le istituzioni, causato proprio dal monopolio dell’organizzazione e della partecipazione politica perpetuate dai partiti. Se durante la modernità industriale i partiti di massa,  riuscivano a rappresentare i contrapposti interessi e le opposte visioni di mondo, oggi tali organizzazioni adempiono alla specifica funzione di impedire la partecipazione attiva dei cittadini. 

Fino all’avvento delle reti digitali e dei social network la società civile non aveva altro spazio se non le piazze per  far sentire la propria voce e per aggregarsi spontaneamente intorno ad una rivendicazione o ad un progetto. Con le reti digitali e oggi, con le piattaforme e le blockchain, assistiamo all’avvento di una nuova ecologia della partecipazione, diversa dalla sfera pubblica moderna.

Diciamo, per sintetizzare, che i partiti politici sono le forme organizzative del conflitto sorte all’interno della società industriale e delle culture di massa, ossia all’interno delle ecologie della partecipazione formate dai mass media, dalla radio, dai giornali, dalla tv e dal cinema. Con l’avvento del web e delle reti digitali è cambiata l’ecologia della partecipazione e non appena gli strumenti con cui ci si esprime e ci si relaziona. 

È questo l’aspetto centrale: non solo le reti digitali hanno reso possibile una presa generalizzata della parola e una conseguente crisi dei punti di vista centrali ma hanno originato un’altra architettura della partecipazione, all’interno della quale si è creato un nuovo tipo di azione sociale, non più soggetto-centrica ma costruita in rete e in dialogo attraverso dispositivi, software, flussi informativi, algoritmi etc. Le culture biologiche contemporanee, le pratiche di sostenibilità, i movimenti dell’attivismo digitale che hanno segnato la primavera araba, gli Indignados, gli Anonymous e le proteste avvenute a tutte le latitudini del pianeta negli ultimi dieci anni, sono le chiare espressioni di un nuovo tipo di azione che avviene in un nuovo tipo di ecologia. Nel centro di ricerca che coordino all’università di Sao Paulo, in Brasile, abbiamo studiato a lungo  tale fenomeno, pubblicando articoli e libri tradotti in varie lingue e realizzando convegni e seminari in vari Paesi. Esiste oggi una bibliografia scientifica e diverse linee di pensiero che sostengono tale interpretazione. 

Come cambiano la politica e le modalità dei processi decisionali con le reti digitali?

Esistono altri aspetti che determinano la crisi e la non sostenibilità delle organizzazioni di partito nella nostra epoca. Penso, per esempio, alla trasformazione della governance e dei processi decisionali. T. Morton sostiene che la nostra epoca è caratterizzata dall’avvento degli iper-oggetti, ossia da sfide che si impongono a noi non come realtà esterne, come problemi da risolvere ma, piuttosto, come alterazioni profonde e fenomeni interni e biologici. La crisi ecologica, la pandemia, i cambiamenti climatici e le reti digitali sono realtà che, oltre ad imporci dei cambiamenti nel modo di pensare e a determinare un salto di qualità anche a livello di comportamento, hanno un impatto reale anche  nella sfera personale, corporale  e nella nostra condizione abitativa. Gli iper-oggetti sono tali perché non solo ci sfidano ma ci trasformano in quanto individui,  a livello di comportamento ma anche, in quanto specie, a livello biologico-adattativo. Ossia sono realtà che oltrepassano tutti i livelli, quello geologico, quello molecolare, quello sociale culturale e quello biosferico. Dinanzi agli iper-oggetti e alla iper-complessità delle sfide  della nostra epoca deve cambiare, inevitabilmente, anche il nostro modo di prendere le decisioni.

Lo abbiamo visto con la pandemia durante la quale tutti i governi del mondo  hanno delegato il potere decisionale nelle mani delle equipe degli scienziati che, a loro volta, prendevano le decisioni interrogando i Big data che monitoravano in tempo reale l’andamento della curva di contagio del virus. Se dovessimo cartografare  l’ecologia di tale processo decisionale, dovremmo annoverare un numero ampio di attori, la maggior parti dei quali non umani: il virus, i big data, i vaccini etc. 

Lo stesso avverrà con i cambiamenti climatici e con gli inevitabili stravolgimenti che ne seguiranno. Non si tratta più di sommare appena le intelligenze umane. Le ecologie dei processi decisionali dovranno assumere la forma di un nuovo tipo di complessità estesa ai dati, agli algoritmi, ai sensori e alle forme neuronali  automatizzate che, attraverso le connessioni digitali e i big data, metteranno in dialogo le diverse forme di intelligenza: quella umana, quella del clima, quella dei virus, delle foreste etc. Non si riuscirà a realizzare la transizione ecologica attraverso le semplici dinamiche della politica e dei partiti. Non bastano le buone intenzioni. I processi decisionali che richiedono le sfide della nostra epoca come la pandemia, i cambiamenti climatici, la riconversione delle produzioni industriali o la fine del lavoro hanno bisogno di un approccio scientifico che avviene in dialogo con il processo di automazione dei dati. 

Dinanzi alla iper complessità delle  sfide della nostra epoca ci vogliono iper-intelligenze. Le reti digitali, i sensori, l’internet delle cose, i big data e le piattaforme costituiscono oggi le ecologie dei processi decisionali in contesti ipercomplessi poiché sono in gradi di mettere in rete e di connettere, attraverso i dati, gli umani alla biosfera, ai virus, al clima e all’infinita complessità di reti che costituiscono il nostro abitare.  Diciamo, quindi, che con le reti digitali e i Big data e le piattaforme  i processi decisionali assumono le forme di un dialogo tra umani e non umani, espandendo, così,  la qualità delle interazioni non solo a livello sociale e culturale ma anche alla dimensione  biologica e transpecifica.

Come immagina il futuro della partecipazione nei prossimi anni?

Il passaggio dalle forme di  governance umano-centriche a quelle ecologiche e iper-complesse è oggi un campo fondamentale negli studi delle scienze sociali ed ha incontrato già alcune definizioni. Isabelle Stengers definisce le nuove ecologie delle interazioni non più esclusivamente umane cosmopolitica, Bruno Latour le descrive come il parlamento delle cose, Michel Serres parlava del passaggio dal contratto sociale al contratto naturale, J. Lovelock  preferisce indicare la nostra contemporaneità come l’età della iper-intelligenza, ossia di un’intelligenza risultato delle interazioni tra diverse intelligenze non più soltanto umane e politiche.  Abbiamo già lasciato la polis. Molti se ne dispiaceranno ma con la pandemia tale passaggio è già avvenuto. Non abitiamo più soltanto Paesi, città e nazioni ma, attraverso le reti digitali, siamo divenuti cittadini dell’intera biosfera. Il nostro agire già non si limita più al contesto politico ma interferisce sul clima ed è legato e condizionato a livello biologico e geologico, come suggerito per la teoria dell’antropocene. In questo contesto ridurre la partecipazione e la stessa idea di democrazia al dibattito e alla dialettica dei partiti significa alienarsi dalle principali sfide della nostra epoca.  


PER APPROFONDIRE – BIBLIOGRAFIA RAGIONATA 

Di Felice M., La cittadinanza digitale, la crisi dell’idea occidentale di democrazia e la partecipazione nelle reti digitali, 2019, Milano, Meltemi, per scoprire nuove forme di democrazia attuabili nel XXI secolo

Di Felice M., Net-attivismo dall’azione sociale all’atto connettivo, 2017, Roma, Ed. Estemporanee, per approfondire l’impatto della rete e delle nuove tecnologie sull’attivismo ai tempi di Internet

Latour B., Non siamo mai stati moderni, 2015, Milano, Eleuthera, con l’avvento della scienza, l’uomo moderno crede che il mondo sia cambiato irrevocabilmente, separandolo per sempre dai suoi antenati primitivi e premoderni. Ma se dovessimo abbandonare questa convinzione, Bruno Latour si chiede, come sarebbe il mondo? Il suo libro, un’antropologia della scienza, ci mostra come gran parte della modernità sia in realtà una questione di fede.

Lovelock J., Novacene, l’età della iperintelligenza, 2020, Torino, Bollati Boringhieri, secondo Lovelock, l’Antropocene – l’era geologica in cui la nostra specie si è dimostrata un fattore critico per l’intero pianeta – farà presto spazio all’età successiva, il «Novacene», quella della collaborazione tra l’uomo e le macchine

Morton T., Iperoggetti, 2018, Roma, Produzioni Nero, Timothy Morton introduce una categoria nuova: quella di «iperoggetti». E cioè di fenomeni talmente grandi ed estesi da mandare in frantumi le nostre tradizionali nozioni su cosa significa abitare il pianeta Terra.

Serres M., Il contratto naturale, 2019, Milano, Feltrinelli, L’alterazione sempre più violenta degli equilibri climatici e le immagini di un pianeta sempre più invaso dai rifiuti e dell’Oceano Pacifico che ha al proprio centro un’isola delle dimensioni della Francia tutta coperta di plastica pongono con forza la necessità di dover ripensare in profondità il modo in cui ci rapportiamo alle risorse e al nostro pianeta. È ormai diventata una questione ineludibile e sempre più urgente. Vi è la necessità di configurare un nuovo contratto che sancisca una modalità non predatoria con cui relazionarsi con la natura e madre terra. 

Stengers I., Cosmopolitiche, 2005, Roma, Luca Sossella editore, come si può attraversare il panorama discordante dei saperi nati dalle scienze moderne? Quale coerenza è possibile scoprire tra visioni, ambizioni e percorsi che si contraddicono e si svalutano gli uni con gli altri? La speranza riposta in una nuova alleanza è destinata a rimanere un sogno? Isabelle Stengers risponde a queste domande in sette tappe: sette libri riuniti in unico volume.