Gianroberto Casaleggio: la cosmologia dantesca e l’evoluzione di Internet

Internet è una rivoluzione. Non un semplice prodotto che può aiutarci a vivere meglio la vita di sempre o a lavorare meglio nello stile di sempre. No. Internet deve, necessariamente, portare ad una vera e propria trasformazione radicale delle aziende, dei prodotti, delle relazioni umane e aziendali… Altrimenti il suo senso ne risulterà travisato e inespresso.

È questa, come scrive Renato Mannheimer nella prefazione di “Il web è morto, viva il web” (Pro Sources, 2001), l’idea forte che ispirava Gianroberto Casaleggio, che nel libro propone spunti di riflessione, lancia provocazioni forti, a volte moniti. Come a dire: attenti! Perché nella rivoluzione bisogna inserirsi con anticipo e con una presa di coscienza forte. Il cambiamento deve essere affrontato per tempo e nella convinzione che a cambiare non sarà solo la superficie, ma la sostanza delle cose.

Proprio per questo vogliamo regalarvi alcuni stralci di “Il web è morto, viva il web”. E per ricordare parte di quel pensiero, di quelle idee che lo hanno portato a fondare il MoVimento 5 Stelle e il suo cuore pulsante: il Progetto Rousseau.


Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita, recita il più celebre verso di Dante nella Divina Commedia.

La cosmologia dantesca, come ognuno sa, include la Terra, l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. La Divina Commedia narra del viaggio in questi luoghi di Dante e di Virgilio, viaggio che si conclude in Paradiso con il canto XXXIII e la Visione della Divinità.

Dall’inizio degli anni ’90 siamo in viaggio nei diversi mondi di Internet senza sapere bene dove stiamo andando. Ma è una strada che siamo obbligati a percorrere. Il percorso è lungo e al termine, forse, ci aspetta il Paradiso.

Nel corso del 2000, negli Stati Uniti il Nasdaq è precipitato, circa 300 dotcom sono fallite e nel solo mese di settembre 10.000 impiegati di dotcom hanno perso il lavoro.

I giornali americani pubblicano storie strappalacrime di vice president e di marketing manager che hanno perso tutto e ora fanno jogging sulle Montagne Rocciose con il cane, o le maestre d’asilo.

Nei casi più disperati sono stati rimpatriati perché la loro green card è scaduta. I falliti di Internet sono accomunati da alcuni opinionisti ai reduci del Vietnam, da recuperare e reintegrare nella società. È forse l’Inferno? Assolutamente no, sono conseguenze del cammino che abbiamo intrapreso e di come lo abbiamo percorso.

Facciamo qualche passo indietro, nel 1995.

In quell’anno Internet iniziò a diventare un fenomeno di massa negli Stati Uniti e il primo approccio da parte delle aziende fu di considerare Internet un nuovo canale, come il telefono. Pubblicarono informazioni commerciali in rete, raggiungibili attraverso un indirizzo puntocom: le brochureware.

Nel 1995 solo il 35% delle prime 500 aziende di Fortune disponeva di un sito. Sembra impossibile oggi, con più di sette milioni di siti in rete.
Le brochureware non servivano a nulla, ma la maggior parte delle società non lo ha capito ancora oggi.

Si affermarono in seguito le prime applicazioni B2C, basate su applicazioni indirizzate al cliente finale, con l’idea di fornire un servizio, quasi sempre di commercio elettronico, attraverso la rete.

Le applicazioni B2C più comuni sono l’e-Tailing e i consumer portals per vendere prodotti e servizi (CDNOW e Amazon ne sono un esempio), il bidding e auctioning per intermediare il consumatore verso le aziende o verso altri consumatori (adottati da eBay e Priceline), il consumer care che pone la gestione del cliente come centrale rispetto al prodotto/servizio (eToys è un caso di successo), e l’electronic bill payment (implementato da AT&T e MCI WorldCom per i pagamenti in rete dei clienti).

Dopo il B2C, utilizzato prevalentemente da aziende nate con la Rete, il passo successivo è stato il B2B, con il quale le aziende, in particolare grandi aziende preesistenti a Internet, hanno iniziato a sviluppare modelli applicativi per massimizzare le relazioni commerciali tra loro.

I modelli B2B più noti sono il virtual marketplace per vendere beni e servizi in un circuito chiuso di aziende in rete (Cisco ne è un brillante riferimento), il procurement management per ottimizzare i processo di acquisto (la società farmaceurica Merck e la Caltex, joint venture tra Texaco e Chevron lo usano con grandi vantaggi), l’extended value chain che integra e associa il valore della singola azienda con altre per creare una struttura atta a erogare un servizio o un prodotto (FedEx, un gigante della distribuzione, ha creato in rete un sistema di logistica integrato), e il customer relationship management per la gestione dei rapporti via rete con tutti i partner della supply value chain (applicato da HP).

Sin qui il percorso compiuto ha visto quindi Internet prima usato come puro canale (brochureware), poi come commercio elettronico (B2C) e infine come miglioramento di uno o più processi aziendali (B2B).

Approcci strabici, dovuti principalmente alla valutazione riduttiva di Internet come nuovo canale e alla volontà di massimizzare al più presto i profitti con la sua manifestazione più semplice: la vendita in rete.

Internet non è un canale, è un riposizionamento completo dei processi aziendali in rete che riguarderà prevalentemente le aziende dell’old economy. Aziende che, fino ad ora, hanno pubblicato informazioni in rete o attivato una applicazione B2C, ad esempio il trading on line, lasciando inalterata l’organizzazione, e rimandando così il problema.

Quello che è stato realizzato è solo il preludio alla nascita delle nuove organizzazioni di rete, le e-Enterprise, di cui vi sono le prime manifestazioni negli Stati Uniti.

Per farle nascere, tutti i diversi aspetti dell’azienda devono essere messi in discussione e riposizionati: l’organizzazione, il business, la cultura, la gestione delle persone, le relazioni con il mercato ed i partner, e le tecnologie.

Le e-Enterprise sono la prossima stazione del nostro viaggio e ci porteranno, come direbbe Dante, a riveder le stelle.