Idrogeno ottenuto dal biogas? No, grazie.

È un fatto ormai noto che l’idrogeno rappresenti la chiave di volta per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. La sua capacità di fungere da accumulatore di energia ha di fatto superato le resistenze secondo cui le più diffuse fonti, quali ad esempio il vento e il sole, non garantissero una erogazione di corrente continua e regolare.

Ma cos’è l’idrogeno? L’idrogeno (H2) è un gas atossico, incolore e inodore, costituito da una molecola biatomica. Combinato con altri elementi – ad esempio, con l’ossigeno (O) – è tra i più diffusi sulla terra.

Per produrre l’idrogeno, o più correttamente per estrarlo, si possono utilizzare specifici processi chimici. Il più diffuso è l’elettrolisi, in forza del quale lo si estrae dall’acqua (H2O) attraverso l’utilizzo di energia elettrica (che può, appunto, a sua volta essere ricavata dalle fonti energetiche rinnovabili). L’elettrolisi in breve, con un impatto ambientante che possiamo definire inesistente, scompone l’acqua nei suoi due elementi, in modo che l’idrogeno possa essere immagazzinato.

L’idrogeno, così prodotto dall’acqua, diventa una vera e propria fonte di energia. Tanto elettrica quanto termica. Per farlo, cioè per ricavare energia dall’idrogeno, il gas viene fatto reagire con l’ossigeno dell’aria in modo controllato. Questo processo avviene nella cosiddetta “cella a combustibile” (fuel cell), un semplice quanto ingegnoso dispositivo elettrochimico ai cui elettrodi idrogeno e ossigeno reagiscono in modo, appunto, controllato liberando elettricità e calore sotto forma di acqua calda a 70-80 gradi centigradi. L’acqua è ideale per gli usi sanitari e il riscaldamento, mentre l’elettricità può essere usata tanto per dare corrente a un’abitazione che per alimentare un’auto elettrica.

Dunque, combinando fonti rinnovabili e idrogeno, oggi è possibile ottenere una erogazione di corrente elettrica H24, perché quando la fonte non è presente (ad esempio, il raggio solare che colpisce la cella del pannello fotovoltaico), l’energia elettrica potrà essere garantita sfruttando l’idrogeno che è stato accumulato durante il periodo di attività della fonte rinnovabile (cioè, ad esempio, nelle ore di luce) e così via.

Questa combinazione oggi è diventata ancor più diffusa grazie soprattutto allo sviluppo massiccio che hanno avuto le fonti rinnovabili e conseguentemente l’abbattimento dei costi di produzione. Si pensi, ad esempio, che il prezzo dell’energia elettrica prodotta dal sole è passato da 76 $/Watt del 1977 a 0,25$/Watt del 2017 e che negli ultimi 20 anni il tasso annuo di crescita del fotovoltaico è stato del 35%.

Ma l’elettrolisi non è l’unico sistema in grado di generare idrogeno. Come chiarito in premessa, esso rappresenta uno dei meccanismi per estrarre il prezioso gas, ma ne esistono degli altri, di certo meno diffusi e meno praticati, ma comunque altrettanto validi e soprattutto altrettanto sostenibili sotto il profilo della tutela dell’ambiente.

Tra questi vi è quello messo in pratica di recente da “Hazer Group Limited” che in Australia ha concluso la sperimentazione per la produzione di idrogeno sfruttando il biogas ottenuto dal trattamento delle acque reflue degli impianti di depurazione. Il processo Hazer è il frutto di una nuova tecnologia che converte il biometano in idrogeno, utilizzando un catalizzatore di minerale di ferro. Dal processo, oltre all’idrogeno si produce anche grafite.

In breve, il biogas (CH4) viene scisso in idrogeno (H2) e grafite (C) utilizzando un catalizzatore di minerale di ferro. Il carbonio, che altrimenti verrebbe emesso come CO2 durante la decomposizione delle acque reflue, viene immagazzinato sotto forma di grafite solida.

Questo procedimento, ha di recente ottenuto il placet del Governo australiano che ha deciso di finanziare un impianto di estrazione con 10 milioni di dollari a Munster.

Proviamo adesso ad immaginare un sistema di questo tipo nel nostro paese, l’Italia. Di certo coesistono tante condizioni che potrebbero far pensare che il processo Hazer possa essere una valida alternativa alla più tradizionale combinazione di fonte rinnovabile ed idrogeno. Tra queste condizioni di certo non ultima è la necessità di ammodernare i vetusti sistemi di depurazione delle acque reflue della Penisola.

E’ un fatto notorio che l’Unione europea ha bacchettato il nostro Paese con ben quattro procedure di infrazione sul sistema di depurazione (C 251/17, C85/1, C 668/19, P 2017/2181), richiedendo a gran voce la necessità di un radicale revamping degli impianti.

In questa ottica, di certo si potrebbe immaginare che alla luce della impellente necessità di ridisegnare una rete nazionale della depurazione, si possa fare un ragionamento per considerare anche la possibilità di abbinare il modello Hazer per la produzione di idrogeno.

Ma va anche detto che ogni Paese ha le sue peculiarità, le sue condizioni climatiche e il suo background industriale. E tenendo conto di questi fattori, non si può certo accostare con semplicità un Paese con un altro e calare un modello industriale ovunque, solo perché valido da una parte.

Ecco perché, a questo punto della trattazione, era doveroso interpellare chi, più del sottoscritto, conoscesse questo affascinate settore.

Raggiunto al telefono Mario Pagliaro – ricercatore del CNR, tra gli scienziati più citati al mondo nel campo delle nanotecnologie e precursore delle fonti rinnovabili – alla domanda se “la tecnologia australiana può funzionare” la sua risposta è stata netta: “già nel 2012 si affermava la validità dell’idrogeno ottenuto dall’acqua per l’accumulo dell’energia, sia essa garantita dalla luce solare o dal vento: due forme sovrabbondanti, gratuite e di facilissimo accesso, soprattutto nella nostra Penisola. Questa soluzione all’inizio fu molto criticata dal mondo scientifico, per poi diventare il modello più diffuso nel mondo. Un esempio? Il porto di Rotterdam, dove è stato commissionato, appena due settimane fa, un elettrolizzatore da 200 MW che userà solo energia eolica di un impianto off-shore”.

Tutte le altre tecnologie come questa australiana – continua Pagliaro –  sono messe fuori gioco dalla semplicità e dal bassissimo costo delle due sole tecnologie per l’accumulo dell’energia elettrica rinnovabile: l’idrogeno solare e la batteria al litio”.

E, in chiusura, alla domanda “Siamo di fronte al superamento del binomio fonti rinnovabili e idrogeno?” Pagliaro taglia corto. “Lo abbiamo scritto ed argomentato tante volte: né aria compressa, né carbon storage, né metano green, né benzina o kerosene rinnovabile. Ma solo idrogeno solare e batteria al litio, tutti gli investimenti vanno lì. Ci guardavano con sufficienza, ma ora è esattamente ciò che sta accadendo”.