Nel decreto Rilancio la nostra norma sul corretto smaltimento delle mascherine

Erano i primi giorni dell’emergenza coronavirus e del lockdown quando abbiamo cominciato a immaginare l’impatto che avrebbe potuto avere sull’ambiente un massiccio uso dei cosiddetti dispositivi di protezione individuale, mascherine e guanti in primis. Per porre rimedio al problema del loro smaltimento, davanti alla constatazione che spesso vengono gettati per strada o conferiti impropriamente, con le colleghe e i colleghi del MoVimento 5 Stelle in commissione Ambiente alla Camera abbiamo presentato un ordine del giorno e iniziare ad affrontare la questione.

Cominciavano a palesarsi le prime avvisaglie con mascherine e guanti abbandonati per le strade e nelle aree verdi. Un campanello di allarme confermato, poi, dai numeri: secondo le stime del Politecnico di Torino per le sole mascherine chirurgiche “è possibile stimare che il bisogno di tutte le imprese del solo Piemonte potrebbe raggiungere una cifra teorica prossima a 80 milioni di pezzi monouso/mese. […] Le imprese italiane nel loro complesso potrebbero avere un bisogno mensile di circa 12 volte tale entità”, cioè quasi un miliardo di mascherine al mese. Secondo altri dati del WWF ogni anno nel Mediterraneo già fluiscono 570 mila tonnellate di plastica, come se 33.800 bottigliette di plastica venissero gettate in mare ogni minuto, con ricadute dalla fauna ittica, fino alla nostra tavola.

A livello mondiale, è stato stimato che basta l’1% di mascherine non smaltite a regola, per tradursi in circa 10 milioni di mascherine, corrispondenti a 40mila chili di plastica nell’ambiente. Numeri che ci hanno imposto un immediato ragionamento sullo smaltimento di questi dispositivi di protezione, per evitare che finiscano in parte disperse nell’ambiente o non smaltite correttamente.

Per questo come commissione Ambiente dapprima ci siamo opposti all’idea che questo potesse voler dire più discariche e inceneritori e poi abbiamo studiato altre vie. Possiamo affermare, con estrema soddisfazione, di esserci riusciti.

La campagna “Alla natura non serve” con l’hashtag #buttalibene, promossa dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, ha già lanciato un importante messaggio di sensibilizzazione sull’impatto provocato dal ricorso massiccio dei dispositivi di protezione individuale. Siamo pero riusciti anche a intervenire in Parlamento, approvando un emendamento a mia prima firma al Decreto Rilancio, che dopo l’ok della Camera ora attende il vaglio del Senato.

La norma che abbiamo introdotto mira a definire le modalità di recupero dei materiali delle mascherine, i criteri di raccolta presso le abitazioni e le forme di conferimento, anche attraverso misure di incentivazione a favore dei cittadini. Pensiamo a punti di raccolta capillari – collocati fuori dai centri commerciali o davanti alle farmacie – simili a quelli utilizzati per rifiuti speciali come materiali sanitari o pile. Non potevamo permetterci di passare dall’emergenza sanitaria a quella ambientale e la soluzione messa in campo può rappresentare una risposta efficace.

Nel 2020 la produzione di rifiuti da questi dispositivi dovrebbe arrivare tra le 160 e le 440mila tonnellate, ragion per cui dobbiamo incentivare i nostri concittadini ad assumere condotte virtuose: scegliere le mascherine lavabili e riutilizzabili più volte, gettarle nel modo più corretto affinché riprendano vita sotto forma di altri prodotti. Per questo l’emendamento prevede anche l’istituzione di un fondo di un milione di euro nel 2020, al fine di promuovere la prevenzione una sperimentazione sul riuso e il riciclo dei dispositivi di protezione individuale in un’ottica circolare, privilegiando per le mascherine prodotti monomateriale e per i guanti materiali biodegradabili e compostabili.

L’emendamento, infine, chiarisce le sanzioni adeguate per chi abbandona guanti e mascherine a terra o in mare, anche se l’aspetto fondamentale – mi preme ribadirlo – riguarda la circolarità e la compatibilità delle produzioni industriali e dei comportamenti delle persone con i cicli naturali. Questa emergenza sanitaria ci deve spingere a ripensare al nostro stile di vita, di produzione e di consumo. Dobbiamo sempre essere responsabili dei nostri gesti.