Alcune riflessioni sulla rete unica

Di seguito i pareri di Innocenzo Genna, giurista ed esperto di regolamentazione europea del digitale 


Negli ultimi giorni si è aperto il dibattito sul tema della rete unica di telecomunicazioni, suggerendo una prossima fusione tra TIM ed Open Fiber con un’attiva partecipazione dello Stato. Per supportare una tale operazione, è fondamentale ragionare sul progetto industriale che si intende perseguire ed i mezzi con cui attuarlo.

• Dotare l’Italia di una moderna rete in fibra ottica

Una fusione tra Tim ed Open Fiber dovrebbe permettere all’Italia di dotarsi di una rete di telecomunicazioni moderna ed ultra-performante: in sostanza, una rete la cui capacità si misuri in Giga, e non in Mega, e consenta alte prestazioni e servizi innovativi, in tutto il Paese, e non solo nelle aree metropolitane. Con l’emergenza Covid abbiamo compreso, famiglie scuole ed aziende, l’importanza di una connessione Internet affidabile e capace. Mentre le dorsali ed i grandi punti di interconnessione hanno ben sostenuto il sovraccarico, il problema si è posto con la connessione casalinga (il c.d. “ultimo miglio”), perché l’utilizzo simultaneo di varie applicazioni (smart working, tele-scuola ed entertainment) presso la medesima abitazione ha dimostrato l’insufficienza della vecchia rete telefonica (ADSL o soluzione miste) o del mobile in tempi di emergenza. In altre parole, l’obiettivo della rete unica dovrebbe essere quello di fare grandi investimenti in fibra ottica, laddove possibile, ed utilizzando tecnologie meno performanti (ad esempio, il wireless) nelle zone non raggiungibili altrimenti. La fibra è inoltre fondamentale per il 5G, per collegare le antenne.

• Fibra ottica, ma in che senso?

Sia Open Fiber che Tim sostengono di investire in fibra ma in verità non intendono la stessa cosa. Open Fiber installa il c.d. Fiber to the Home (FTTH), sia nelle aree metropolitane (dove ha ripreso il precedente business di Metroweb) sia nelle zone rurali, dove ha vinto le gare per i fondi pubblici. Non si tratta di un lavoro facile, perché si tratta di scavare ed installare una rete ex novo.

TIM invece ha in larga parte adottato l’FTTC (Fiber to the cabinets), in cui la fibra arriva solo in alcuni punti di concentrazione e poi prosegue con il vecchio doppino di rame; ed ha investito anche in FTTH, ma non in modo significativo. Il motivo per cui TIM esita nel FTTH è normalmente dato dal fatto che il possesso di una rete in rame (su cui si può fare sia ADSL che FTTC) costituisce un freno naturale agli investimenti in fibra. Perché sostituire una macchina vecchia, per quanto imperfetta ma che fa profitti, con qualcosa di moderno e costoso?
É evidente che, in caso di fusione tra TIM ed Open Fiber, l’Italia dovrà fare una scelta strategica ben definita tra FTTH e FTTC, e tale scelta non potrà che essere in favore del FTTH se vogliamo dotare l’Italia di una rete moderna ed ultra-performante. Ma come garantire questo obiettivo?

• Un piano di investimenti in fibra ottica

I recenti dati europei del DESI dimostrano che l’Italia, pur essendo indietro nelle classifiche europee, ha scalato posizioni nella diffusione della fibra ottica (quindi, nel FTTH) negli ultimi 3 anni. Questo progresso è dovuto alla concorrenza tra TIM e Open Fiber, una situazione recente ed eccezionale per il nostro paese, che storicamente non aveva mai conosciuto alternative alla rete telefonica (a differenza di altri paesi, dove la concorrenza infrastrutturale è stata possibile grazie all’esistenza di reti televisive cavo). Fondendo TIM ed Open Fiber verrebbe meno lo stimolo agli investimenti dato dalla concorrenza infrastrutturale. Come potrebbe quindi lo Stato garantirsi che la società unica continui, ed anzi intensifichi, gli investimenti in fibra ottica (cioè FTTH) su tutto il territorio nazionale? Occorrerebbe imporre dei piani di investimento e copertura in FTTH, assistiti da penali e misure ad hoc per responsabilizzare i manager e gli amministratori. Il modello potrebbe essere quello dei piani di copertura delle reti mobili ma con degli strumenti che lo rendano ancora più cogente.

• Il ruolo dello Stato

Anni fa TIM pensò, prima di tutti in Europa, di installare una rete nazionale in fibra ottica, il c.d. progetto “Socrate”, che però fu poi abbandonato con la privatizzazione. In passato molti operatori europei hanno sbandierato grandi piani di investimenti in fibra ottica, regolarmente ritrattati, per cui è stato creato l’ironico acronimo FOTP: “Fiber on the paper”. In altre parole, dobbiamo essere coscienti del fatto che una società privata e quotata in borsa può, anche dopo aver concordato obiettivi e priorità con lo Stato, assumere decisioni contrastanti, se così vuole l’assemblea degli azionisti. Per tutelarsi ulteriormente lo Stato può considerare l’ipotesi di intervento diretto, una soluzione che potrebbe non piacere ai fautori del libero mercato, ma che occorre mettere in conto con la ricostituzione di un monopolio. Il pubblico si assumerebbe così le sue responsabilità, anche apportando capitale e risorse ove necessario.

Negli altri paesi europei (Germania, Francia, Belgio ad esempio) possiamo trovare quote di capitale pubblico attorno al 30%, il cui obiettivo primario è però quello di proteggere l’operatore da take-over indesiderati, più che dettare la politica degli investimenti. L’esperienza europea indica che i migliori risultati in investimenti di fibra ottica si raggiungono con un mix di concorrenza, regolamentazione e dove necessario anche aiuti statali. Se l’Italia vuole dotarsi di una moderna rete in fibra ottica attraverso un unico fornitore, deve prepararsi ad un po’ di creatività ed analizzare con attenzione i migliori benchmark europei ed internazionali.

• La separazione della rete ed il modello all’ingrosso

L’innovazione vera e propria si gioca nei servizi finali, e quindi è fondamentale che l’operatore di rete unica non interferisca nelle scelte degli Internet Service Provider che chiedono l’accesso alla rete ma, anzi, non competa con essi (per non creare un gigantesco conflitto d’interesse). Inoltre, le risorse dell’operatore di rete unica dovrebbero essere interamente dedicate agli investimenti, non al marketing oppure all’acquisto di film ed entertainment. Il modello dell’operatore di rete unica dovrebbe pertanto essere quello dell’operatore esclusivamente all’ingrosso. Nel caso di TIM, questo vuol dire che la società dovrebbe separare la rete e porla sotto il controllo di azionisti differenti da quelli della rete stessa.