I Green Worker nel mercato del lavoro – Intervista a Marco Gisotti 

Nel 2009 i green workers, ovvero i lavoratori che hanno mansioni specifiche nell’ambito dell’ecologia e della sostenibilità, erano circa 950 mila. Dopo circa 10 anni, nel 2018, questi erano saliti a 3 milioni e centomila unità, corrispondenti al 13,4 % dell’occupazione nazionale complessiva. Numeri importanti che dimostrano quanto queste figure oggi siano ricercate dalle imprese e quindi  importanti per il mercato del lavoro. Questi dati e altre input interessanti sono riportati nel testo 100 Green Jobs per Trovare Lavoro – Guida alle professioni sicure, circolari e sostenibili.  

Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Marco Gisotti, giornalista, divulgatore scientifico ed esperto di green economy.


I green worker, come avete dimostrato nel testo scritto con Tessa Gelisio,  sono addirittura triplicati dal 2009 al 2018. Facciamo uno sforzo e cerchiamo di guardare al futuro. Finita questa emergenza sanitaria può esserci un nuovo punto di partenza per quanto riguarda queste professioni?

La Storia non si ferma davvero davanti a un portone, se posso citare De Gregori. A meno che questa crisi non duri un decennio e l’intero pianeta regredisca al medioevo, la corsa dei green jobs, così come verso la green economy, è l’unico futuro possibile.

Il fatto che ormai per quasi l’80 per cento di tutte le professioni richieste in Italia siano richieste competenze verdi la dice lunga sul processo di trasformazione che il nostro Paese ha attraversato, e questo vale in generale per tutta l’Europa e per la grande maggioranza dei paesi industrializzati. Efficienza energetica e riduzione degli sprechi sono la parola d’ordine della nuova impresa e sono necessità che anche le attività delle pubbliche amministrazioni devono assecondare. Essere “green” conviene per molte ragioni: se non per quelle etiche, per lo meno per quelle economiche.

La crisi sanitaria, certo, è un brutto shock e si perderanno centinaia di migliaia di posti di lavoro, ma non c’è dubbio che la nuova occupazione andrà nella direzione della sostenibilità.

C’è la sensazione che basta essere ambientalisti per essere dei green worker quando dietro c’è sicuramente una ricerca e confronto continuo, soprattutto con gli altri paesi. Quanto il mondo della formazione si sta adeguando al mondo del lavoro?

La formazione, in generale, è molto indietro rispetto alle necessità del mercato del lavoro. I percorsi di studio professionali spesso non sono aggiornati e le università non tutte riescono a tenere il passo dell’innovazione. Si tratta di una realtà a macchia di leopardo sulla quale gravano anche i molti anni di incertezza nella direzione che il nostro Paese avrebbe dovuto prendere in questo senso.

Ma molte risposte e soluzioni sono a portata di mano. Per esempio, in Italia abbiamo sviluppato uno degli strumenti più all’avanguardia per il monitoraggio del mercato del lavoro, il Sistema informativo Excelsior, gestito da Unioncamere e Anpal, capace di fornire dati molti definiti su base provinciale. Uno strumento il cui utilizzo dovrebbe essere introdotto nelle scuole, nelle università e in tutti quegli enti locali preposti alla formazione professionale.

So che nel DEF, il documento di economia e finanza del Governo, c’è una propensione verso la formazione green come volano per la costruzione di una nuova economia più resiliente e sostenibile. Mi sembra una buona notizia.

Nel testo spiegate quali possono essere i percorsi per sviluppare e acquisire capacità “green” utili per il mondo del lavoro. Quanto le aziende italiane stanno facendo propri i principi dell’economia circolare?

La risposta è “tanto ma non abbastanza”. Almeno un’impresa su quattro è green, e non è poco. Confido molto che il cosiddetto “new green deal” possa dare quella spinta definitiva a conquistare anche le altre. Gli strumenti che il governo intende mettere in campo e la linea della Commissione europea, nonostante la pandemia e, anzi, proprio per reagire alla pandemia, rappresentano una novità storica. Una coincidenza di interessi nello sviluppo di un’economia circolare e verde così forte fra il nostro Paese e l’Unione europea non c’era mai stata.

Saranno tutte rose e fiori? Per il momento sì, ma fra due, tre anni? Anche in questo senso direi che la Storia non si ferma davvero. C’è un’evoluzione naturale dell’impresa e dell’economia che ha trovato nella circolarità delle risorse le sue risposte. Ma anche in questo senso non significa che non si debba restare vigili. Una vera economia verde deve essere anche inclusiva e solidale. I diritti dell’ambiente sono diritti dell’uomo, così come un lavoro verde deve essere rispettoso dell’ambiente ma anche dignitoso per il lavoratore.

Sempre a proposito di economia circolare, da divulgatore scientifico, quanto è forte ora nel nostro paese questo concetto e quanto possiamo fare per svilupparlo?

Il concetto è forte e mi sento di dire che si fa sempre più radicato. L’evidenza che sprecare una materia prima è evidente a tutti, soprattutto alle imprese. Ma si sta sviluppando un concetto di circolarità anche ad altri livelli, di economia solidale. La rinascita di ciclofficine, di piccoli riparatori di quartiere, dei negozi del riuso, di altre forme anche più organizzate di sharing economy dimostrano che sta accadendo un salto culturale. Non solo dall’alto, non solo per merito dell’impresa o delle istituzioni, ma anche per una presa di coscienza. In questo caso, se mi passi ancora una volta la citazione, la Storia siamo davvero noi.

Domanda da un milione di dollari: se non fossi stato un green worker cosa avresti fatto nella vita?

Da bambino avevo i quaderni di un personaggio dei cartoni animati che si chiamava Draghetto. Era un piccolo drago che concludeva le sue storie sempre con la stessa dichiarazione (che faceva disperare il padre, un signor Drago di tutto rispetto): “da grande…farò il pompiere!”. Temo che l’imprinting sia avvenuto troppo presto per avere una seconda chance!