Le emissioni inquinanti ci rendono più deboli. É ora di agire.

Combattere l’inquinamento – riducendo da subito le emissioni di CO2 – può aiutare anche ad arginare gli effetti del Coronavirus. Che ambiente e salute vadano a braccetto è cosa risaputa, adesso – in fase di emergenza per il Paese – bisogna ribadirlo con forza. E attivarci.

Come medico ospedaliero, nel 2019, ho seguito alcuni casi di infezione da virus H1N1, meglio conosciuto come “influenza suina” avendo avuto (probabilmente) come focolaio un allevamento di maiali, in Messico. Da vicino ho potuto riscontrare quesiti ricorrenti, ad esempio perché alcuni casi si complicassero con la polmonite, altri no. E tra i casi complicati non più del 20% insorsero in persone senza apparenti gravi fattori di rischio.

Fermo restando che ogni virus è diverso dagli altri – non si può paragonare certo l’influenza suina con il Coronavirus – e che nel corso del tempo lo stesso virus può mutare per cui non possiamo affidarci a studi pregressi, può essere utile affidarci a dati emersi in precedenti situazioni tracciando alcune linee guida.

Una corposa letteratura scientifica dimostra come esistano fattori protettivi comuni dalle infezioni e dalle loro complicanze: assunzione di cereali integrali, frutta secca e oleosa, frutta e verdura, allattamento al seno, lavaggio delle mani, attività fisica moderata;

i fattori di rischio sono invece l’attività fisica eccessiva, il fumo passivo, il fumo attivo e l’assunzione di stupefacenti, l’eccesso di carni rosse, l’eccesso di alcol, i luoghi chiusi e affollati, l’abuso di farmaci antipiretici e di antibiotici se non prescritti dal medico, l’inquinamento atmosferico.

Ma, oltre ad assumere tali precauzioni, credo sia necessario riflettere sulla diffusione del Coronavirus in relazione ai comportamenti individuali e alle decisioni delle istituzioni. A Milano e in molte città della pianura Padana quest’anno in meno di due mesi sono già stati superati i 35 giorni “tollerati” di aria con polveri sottili (PM10) superiori a 35 microgrammi per metri cubo. Per non menzionare il PM2.5 che secondo i criteri sanitari dovrebbe stare sotto i 20 giorni di “sforamento” mentre attualmente la media è superiore a 40 in Pianura Padana.

Ciò contribuisce ad indebolire il fisico dei cittadini residenti in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, favorendo complicanze respiratorie. Non a caso, gli articoli che riportano della diminuzione delle emissioni di oltre 100 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti nella regione di Hubei in Cina, cuore di questa infezione, dovrebbero far riflettere sulla necessità di ridurre le emissioni per non aggravare la situazione.

Invece di attendere eventuali blocchi in emergenza, sarebbe il caso di valutare la riduzione delle emissioni non strategiche nelle aree impattate dal virus e di ridurle comunque in ottica di adeguamento alle direttive europee per cui siamo in infrazione e a rischio di sentenza e sanzioni nel breve termine (PM10 e ossidi di azoto). Gli studi ISPRA centrati sulla regione Emilia Romagna riportano una percentuale di emissione di particolato relativa al trasporto merci su strada del 21%, del trasporto con veicoli privati del 13%, per cui credo che sia l’occasione di riflettere sui progetti di nuove autostrade – dalle Pedemontane veneta e lombarda, alla Cispadana, alla Mantova Cremona – che aggraverebbero la situazione del particolato in atmosfera e lo stato sanitario della popolazione.

È chiaro che parliamo di fattori di rischio ormai protratti nel tempo che hanno indebolito in maniera strutturale l’immunità e le vie respiratorie di chi vive in aree con superamenti del particolato, ma la riduzione – anche nel breve periodo – può rinforzare il fisico e consentirgli di affrontare meglio le emergenze.