#AutostradeStory – Una rete ridotta a colabrodo e tre faldoni d’inchiesta

#AutostradeStory è il report a puntate che racconta come i Benetton e altri gruppi finanziari abbiano fatto delle autostrade le loro miniere d’oro.


La rete che gestisce Autostrade per l’Italia è in pessimo stato, un colabrodo. Gli attori protagonisti di questo film dell’orrore sono i viadotti. A confermarlo è stata l’assurda giornata dello scorso lunedì 25 novembre, quando sulla A26 Genova-Gravellona Toce Autostrade si è trovata costretta a chiudere due ponti, uno per senso di marcia: il Fado e il Pacetti.
Solo tra Liguria e Piemonte, i viadotti che versano in stato di avanzato deterioramento sono 18: un’enormità. Numeri sconvolgenti, che se allargati agli oltre 2900 chilometri che Aspi (controllata di Atlantia) gestisce lungo tutto lo Stivale, destano non poche preoccupazioni.

Ormai è diventata una costante delle ultime settimane: più i giudici guardano tra le carte di Aspi, più monitorano strade e viadotti della rete affidata vent’anni fa ai Benetton, più scoprono falle. Tanto che l’ultima surreale settimana di novembre ha reso necessaria l’apertura di un nuovo fascicolo per un terzo filone d’inchiesta, con l’ipotesi di reato di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina.

Un terzo “faldone” che si aggiunge a quello ormai tristemente noto sul ponte Morandi e all’altro aperto a fine estate sui cosiddetti report falsi. Il reato contestato è omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina: l’inchiesta al momento è aperta contro ignoti, ed è collegata proprio ai due ponti (Fado e Pacetti) divenuti sui giornali i “fratelli” della vergogna. Le chiacchiere stanno a zero: il livello di corrosione riscontrato dai consulenti sui due viadotti non collima affatto con i voti, del tutto “ammorbiditi”, assegnati dai tecnici di Spea Engineering. Quella stessa Spea controllata da chi? Da Autostrade per l’Italia, ovviamente. Torniamo ancora una volta a quel vecchio e distorto malcostume che in Italia vede troppo spesso il controllore al servizio del controllato.
Insomma, siamo in presenza di rilievi falsati da giudizi troppo “soft”, che secondo i sospetti dei giudici riguarderebbero svariati altri ponti. La mappa del disonore, frutto di vent’anni di manutenzioni calate drasticamente e di lavori di ammodernamento mai fatti, si allarga giorno dopo giorno. Da Nord a Sud.

Limitiamoci al Nord-Ovest. I ponti il cui punteggio sullo stato di degrado è stato ritoccato all’insù sono tantissimi, come i viadotti Vegnina (A26, punteggio passato da 50 a 60), il Bormida (A26 adesso a 70), Biscione (A26 da 50 a 60), ponte statale del Monferrato (A26 da 50 a 60), Coppetta (A7 da 50 a 70), Ponticello ad Archi (A10 da 50 a 70), ponte Scrivia (A7 da 50 a 70) e molti altri ancora. Precisiamo che 70 è un punteggio che evidenzia un elevato stato di pericolosità. E’ la storia di un conclamato scempio.

Aspettiamo che i giudici completino il loro lavoro. E’ doveroso. Ancora oggi non è caduto il sospetto che siano stati persino commessi reati di manomissione e falsificazione di documenti anche dopo la tragedia del Morandi dell’agosto 2018, e ciò sarebbe tremendamente grave.
Resta il fatto che il ventennio targato “Benetton” ha restituito agli italiani delle infrastrutture in pessimo stato. Questo non è affatto un sospetto, ma un vergognoso dato di fatto.


A questi link le puntate precedenti di “AutostradeStory”:

1) La Lega come sempre dalla parte dei più forti

2) La speculazione servita su un piatto d’argento

3) I signori del Casello coperti d’oro da una politica prona

4) Concessioni a immagine e somiglianza dei Benetton

5) Le segnalazioni delle autorità di controllo come carta straccia