“Mia figlia morta per causa loro, i condannati saranno prescritti”

Mentre tutto l’arco politico si straccia le vesti a tutela dei condannati, qualcuno dovrebbe porre l’attenzione sulle vittime e sui loro familiari. Perché invece il loro dolore non va certamente in prescrizione. E questo pare non importare a nessuno.

Di seguito l’articolo di Ferruccio Sansa de “Il Fatto Quotidiano” che riguarda la vicenda di una ragazza precipitata dal balcone per sfuggire ad un tentativo di stupro. I responsabili sono stati condannati in primo grado, l’appello ci sarà il 28 novembre ma la prescrizione scatta il 3 dicembre.


“Un ergastolo. Da quando è morta la mia unica figlia la vita è una pena senza fine. Invece chi è stato condannato (in primo grado) per aver causato la sua morte non farà un giorno di carcere. Prescrizione”.

Franca Murialdo non si arrende, ma la sua voce è sottile. Il 28 novembre ad Arezzo ci sarà l’appello per la morte di Martina. Ma la prescrizione scatterà il 3 dicembre. Per la morte della ventenne genovese Martina Rossi, avvenuta il 3 agosto 2011, non ci saranno quasi certamente condanne. Secondo i giudici di primo grado, Martina è precipitata dal terrazzo di un albergo di Palma di Maiorca per sfuggire a un tentativo di stupro. Due ragazzi di Arezzo – Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi – sono stati condannati per tentata violenza sessuale di gruppo (tre anni a testa) e morte come conseguenza di altro reato (tre anni ciascuno).

Ma il secondo capo d’accusa pare destinato a prescriversi; resta in piedi la tentata violenza. Ma se anche questa porzione di condanna fosse confermata, teme Franca, “non faranno un giorno di galera”.

AGOSTO 2011: Martina è con due amiche in Spagna. I giudici la descrivono “contenta” e “spensierata”, “intelligente”, “timida”, “priva di un atteggiamento provocatorio con gli uomini”. Una studentessa brillante e carina. La sera del 3 agosto, poi, è felice: in discoteca ha conosciuto un ragazzo delle Marche, si sono dati un bacio. Ma ciò che accade al ritorno in albergo è mistero.

Martina e le sue amiche avevano conosciuto quattro ragazzi di Arezzo. Quella notte le amiche salgono in camera con due giovani toscani. Martina non sa dove andare e decide di salire nella stanza degli altri ragazzi di Arezzo. I testimoni confermano: Martina non era interessata ad Alessandro e Luca. Ma alle 6:55 si sente l’urlo di una donna. Albertoni si presenta “lacrime agli occhi” dalle ragazze genovesi: “Martina è impazzita… mi è saltata addosso dicendo frasi senza senso”, racconta mostrando graffi sul collo. Martina, però, non è più nella stanza. E volata dal terrazzo sfracellandosi sei piani più in basso. Una manciata di ore e le autorità spagnole concludono: suicidio.

Gli imputati raccontano di una scena folle di Martina. C’è chi ipotizza che forse usassero psicofarmaci, si parla di “droga”. Tutto falso, affermano i giudici: “Martina non soffriva di patologie psichiatriche, non assumeva psicofarmaci, non era in cura da psicologi”. E non si era uccisa: la traiettoria del suo corpo non era compatibile con “un gesto volontario”. Qui emergono dettagli che per i giudici sono decisivi: Martina viene trovata in mutande, ma non c’è traccia dei calzoni e delle ciabatte che indossava. Non ha gli occhiali da cui non si separava mai perché era molto miope. E c’è Alessandro che presenta graffi al collo.

Di qui la ricostruzione dei giudici: Martina avrebbe subito un tentativo di violenza, sarebbe scappata sul terrazzo per passare nella stanza vicina. Ma non vedendo bene sarebbe precipitata giù. Lo confermerebbero alcune frasi registrate. Un compagno degli accusati che sostiene di aver “svignato” le domande della polizia e agli agenti risponde con 47 “non ricordo”. I magistrati sono convinti: l’imputato ha sostenuto che Martina era “impazzita… perché doveva trovare una spiegazione ai graffi sul collo”. Un punto della ricostruzione viene giudicato “non verosimile, ne in alcun modo credibile”. Gli imputati respingono ogni accusa.

Innocenti o colpevoli? Forse non si saprà mai. “Io non ho più niente, speravo almeno di avere una verità”, allarga le braccia Franca, assistita dall’avvocato Stefano Savi. Accanto c’è suo marito, Bruno Rossi, storico leader Cgil nel porto di Genova: “Mi sono battuto tutta la vita per dare un mondo migliore ai giovani. Continuerò a farlo. Ma proprio mia figlia mi è stata tolta per sempre”.