La sfida dell’economia verde è nelle mani dei giovani – Intervista a Filippo Giorgi

“Bisogna ripensare al modo in cui ci rapportiamo all’ambiente. C’è bisogno di un cambiamento culturale rispetto all’uso delle risorse, in modo che sia più razionale. Dobbiamo considerare l’ambiente come qualcosa che fa parte della nostra vita: un ambiente migliore è migliore per tutti”Filippo Giorgi, esperto di fama internazionale di modellistica climatica e di temi legati ai cambiamenti climatici e dei loro impatti sulla società, descrive così la rivoluzione di pensiero che servirebbe per approcciarsi al problema ambientale.

Ha pubblicato più di 300 articoli scientifici ed è inserito nella lista degli scienziati più citati nell’area delle Geoscienze. Dal 2002 al 2008 Giorgi è stato membro del comitato esecutivo (Bureau) dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), che nel 2007 ha vinto il Premio Nobel per la Pace. Nel 2018 è stato insignito della medaglia Alexander von Humboldt dell’Unione Geofisica Europea per il suo contributo al progresso della scienza nei Paesi in via di sviluppo.

Un curriculum di grande spessore per lo scienziato abruzzese che nel 2018 si è anche cimentato nella scrittura di un libro divulgativo (L’uomo e la farfalla, FrancoAngeli editore) in cui ha risposto a 6 domande che a tutti è capitato di porsi, con un linguaggio semplice, ma trasmettendo concetti di alto contenuto scientifico.

Filippo Giorgi ha scelto di approfondire con noi alcuni aspetti dei cambiamenti climatici e delle strategie più efficaci per contrastarli. Qualche curiosità, ma soprattutto il parere di un vero esperto per fare chiarezza su temi spesso affrontati con superficialità.


Professor Giorgi, in uno studio sulla rivista BioScience più di 11.000 ricercatori di 153 Paesi, tra i quali circa 250 italiani, hanno dichiarato sulla base di un’analisi di 40 anni di dati scientifici, l’emergenza climatica. Un altro gruppo di scienziati “negazionisti” invece definisce il surriscaldamento globale antropico una “congettura”. Questo equivale a dire che la scienza è divisa sul tema dei cambiamenti climatici?

“La scienza del clima non è divisa sul tema dei cambiamenti climatici. Se lei facesse questa stessa domanda a 1.000 ricercatori che si occupano del clima, cioè fanno ricerca attiva e pubblicano su tematiche di clima, quasi tutti sono d’accordo sul fatto che stiamo assistendo a un cambiamento climatico. Le tesi dei negazionisti sono state confutate negli anni. Ormai continuano a ripetere sempre le stesse cose, senza neanche rendersi conto che queste tesi sono superate. C’è quindi qualche voce discordante, ma sono veramente pochissime. Non c’è un vero dibattito dal punto di vista scientifico. Per quanto riguarda la petizione sul clima firmata da alcuni scienziati italiani che afferma che il surriscaldamento globale non dipende dall’attività umana è bene ricordare che nessuno di questi pubblica su tematiche del clima, salvo pochissime eccezioni”.

Alcuni scienziati affermano che l’Ipcc (Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) di cui lei è membro non sia un organismo a valenza scientifica. Cosa ne pensa?

“È una clamorosa falsità, perché l’Ipcc ha dentro di sé tutti i migliori scienziati della scienza del clima. (Non perché ci sia dentro io, per carità!). Se vede la lista dell’Ipcc troverà i migliori scienziati, perché vengono selezionati sulla base della qualità e dell’equilibrio geografico. Si cerca di prendere gli scienziati più bravi”.

I cambiamenti climatici sono quindi un fatto universalmente riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Il mondo sta provando a fare qualcosa, a volte con qualche inciampo. Cosa pensa lei ad esempio del ritiro degli Usa dagli Accordi di Parigi?

“L’Accordo di Parigi non è un accordo vincolante, mentre l’accordo di Kyoto era vincolante, nel senso che ogni nazione aveva uno specifico target di riduzione di emissioni e, una volta entrato in vigore l’accordo, c’erano delle sanzioni. Se l’Italia non avesse raggiunto gli obiettivi di Kyoto, l’Europa ci avrebbe sanzionato. Secondo l’Accordo di Parigi, invece, ogni Paese ha dato la propria disponibilità a contribuire a mitigare le emissioni di gas serra, e tra l’altro se sommiamo tutti i contributi volontari non riusciamo a limitare l’innalzamento della temperatura entro i 2 gradi rispetto ai valori pre-industriali, che è l’obiettivo dell’accordo. Quindi, dal punto di vista pratico, l’uscita dall’Accordo degli USA non è così rilevante. Dal punto di vista politico non averli sicuramente non è una cosa positiva. Vale la pena precisare, però, che nonostante la posizione statunitense, le emissioni di gas serra negli USA stanno diminuendo: ormai è diventato conveniente passare alla green economy”.

Quali sono secondo lei le azioni prioritarie da attuare per avere dei risultati nel breve e medio termine contro i cambiamenti climatici?

“Il riscaldamento globale e gli effetti che ne conseguono (come l’aumento di eventi meteo catastrofici, l’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai) è dovuto alle emissioni di gas serra da attività umane, principalmente anidride carbonica dall’uso di combustibili fossili e metano per lo più dagli allevamenti intensivi. È chiaro quindi che bisogna ridurre l’uso di combustibili fossili (responsabili per circa il 65 per cento delle emissioni attuali). Le politiche da attuare sono principalmente due. La prima è quella dell’efficienza energetica per evitare che si continui a sprecare il 60-65 per cento dell’energia prodotta, come facciamo oggi a livello globale. Ad esempio, si dovrebbe puntare sui motori elettrici di sicuro più efficienti di quelli termici. La seconda politica prioritaria è il passaggio alle energie rinnovabili che oggi sono molto competitive, anche senza considerare i vantaggi ambientali. Detto in altre parole, dobbiamo passare alla green economy, soprattutto in Italia: noi possiamo contare su sole e vento e non su carbone e petrolio, quindi mi sembra la cosa più logica da fare. Tra l’altro, ci renderebbe indipendenti dagli altri stati.

Bisognerebbe anche ridurre lo spreco di cibo, che oggi corrisponde a circa il 30 per cento. Questo ridurrebbe la necessità di così tanti allevamenti intensivi e lo spreco di acqua, che oggi usata principalmente per attività agricole. Per quanto riguarda la deforestazione, le stime fatte ci dicono che contribuisce per il 10 per cento all’aumento dei gas a effetto serra. Bisogna per questo fermare la deforestazione selvaggia e piantare più alberi possibili. Non risolverà il problema ma è uno dei tasselli che contribuirà a ridurre gli effetti del cambiamento climatico”.

La lotta ai cambiamenti climatici può essere un’opportunità per costruire un nuovo modello economico e sociale?

“Investire nella green economy è un’opportunità. Oggi l’ambiente viene spesso visto come un nemico, specialmente in Italia. Spesso gli ambientalisti sono rappresentati come quelli contro il progresso. Questa è una cosa assurda. Dobbiamo sentirci responsabili e fare di tutto per salvaguardare l’ambiente. Dobbiamo considerare l’ambiente come qualcosa che fa parte della nostra vita. Riciclare rifiuti, acquistare prodotti a km 0 e fare un uso più razionale ed efficiente delle risorse non sconvolge la vita di nessuno. Anzi la migliora”.

Cosa pensa del movimento ambientalista “Fridays For Future”?

“Ho piena fiducia in questo movimento, ma anche in altri che stanno venendo fuori. Hanno il potenziale di cambiare il modo in cui ci poniamo nei confronti delle tematiche ambientali. Si ricomincia a discutere di questi argomenti in maniera molto pacifica e costruttiva. La speranza è nelle nuove generazioni che sono quelle più colpite dai cambiamenti climatici”.