Libertà di parola online, conoscere per deliberare

Identificare o non identificare gli autori di messaggi di odio online.
Questo è il dilemma che da ieri impazza sui social dopo che Luigi Marattin (Italia Viva) ha lanciato la sua proposta: identificare in maniera forte ogni utente dei social prima di consentirgli di pubblicare qualsiasi contenuto in piattaforma.
Apriti cielo. Il web si è spaccato a metà come sempre in questi casi. E si è spaccato in due fazioni che si stanno compattando attorno a due estremi, tanto estremi da rischiare di svilire un dibattito che, invece, è importante, democraticamente prezioso, urgente e irrinunciabile.
Da una parte i fautori di un web non regolamentato, il famoso e mitologico, ma inesistente da decenni,”far-web” e dall’altro “quelli che il web non può essere una fogna” e deve essere regolamentato. In questi termini la discussione è politicamente inutile, sterile se non dannosa.
Mentre il problema, naturalmente, esiste e va affrontato e governato sebbene con la consapevolezza che si tratta di un problema di matrice culturale legato alla trasformazione della società ai tempi di Internet e che, quindi, non esistono soluzioni istantanee e salvifiche, men che meno implementabili nella dimensione nazionale.
Il problema, a voler provare a impostarlo, e non a risolverlo, in termini corretti è quello dell’esigenza di tracciare e rendere riconoscibile una linea di confine tra l’esercizio della libertà di parola e l’abuso di tale libertà.
La libertà di parola è pietra angolare della nostra democrazia. L’abuso della libertà di parola è una pietra sulla democrazia.
Due opposti che, tuttavia, online, si confondono in una massa indistinta di parole, immagini e video nell’ambito della quale è, spesso, difficile distinguere le parole libere e le parole ostili.
La domanda da porsi alla ricerca di una soluzione è: come si fa a limitare la produzione e circolazione online di parole ostili senza limitare la libertà di parola?
E prima di provare a rispondere bisogna porsi un’altra domanda che riguarda la società nella quale ciascuno di noi vuol vivere: meglio una società nella quale nel tentativo di mantenere la Rete pulita da odio, razzismo e violenza si corra il rischio di privare qualcuno della libertà di parola o meglio una società nella quale per non rischiare di privare qualcuno della libertà di parola si accetta il rischio che odio, razzismo e violenza siano presenti in Rete come sono presenti, purtroppo da sempre, nella società?
La risposta a questa seconda domanda consente di graduare le possibili risposte alla prima.
E si tratta di un esercizio che va fatto con straordinaria umiltà intellettuale e nella consapevolezza che nessuno può dirsi certo che una soluzione sia giusta e un’altra sbagliata davanti a una realtà globale, policefala e complessa come il web.
Ciascuno, quindi, risponda alla seconda domanda secondo quanto la propria coscienza e cultura consigliano ma, per favore, lo faccia predisponendosi, da subito, ad accettare l’idea che la propria risposta non è necessariamente migliore di quella di qualcun altro.
Perché, altrimenti, si corre il rischio – che si sta verificando in queste ore – che persino una discussione per risolvere il problema delle parole ostili sul web si trasformi in un’occasione di produzione di parole ostile. È un paradosso.
Personalmente non ho dubbi nel rispondere che l’esigenza di difendere la libertà di parola a ogni costo, impone di accettare l’idea che odio, razzismo e violenza appartengano al web come alla società e, quindi, considero, per definizione, non praticabili tutte le ipotesi di soluzione che, nonostante la nobiltà e condivisibilità dell’obiettivo perseguito, per spazzare via dal web l’odio online – o, almeno, per provarci – minaccino di spazzar via dal web anche qualche parola civile, lecita e preziosa.
Ma è un’opinione personale, niente di più.
E, di conseguenza, trovo irragionevole obbligare decine di milioni di italiani a farsi identificare – poco conta come – da Facebook, Twitter, YouTube e gli altri prima di proferir parola sul web.
Farlo, a prescindere dalla irrealizzabilità del progetto, dalla sua scarsa utilità – perché chi odia sul web, normalmente, lo fa mettendoci la faccia -, dall’inopportunità di costituire presso i giganti del web delle nuove anagrafi dei cittadini produrrebbe, infatti, inesorabilmente degli effetti auto-censori: in tanti – e probabilmente non gli odiatori seriali ma le persone oneste e civili – finirebbero con il preferire tacere anziché denunciare questa o quella condotta illecita per paura di ogni genere di ritorsione.
A quel punto avremmo perso tutti.
E, egualmente, considero democraticamente insostenibile ordinare ai gestori delle piattaforme di intermediazione dei contenuti di mantenere il web pulito decidendo in autonomia quali contenuti rimuovere e quali lasciare online.
In una società democratica decidere chi esercita la libertà di parola e chi ne abusa tocca a Giudici e Autorità indipendenti sulla base delle leggi e non a corporation e soggetti privati sulla base delle regole del mercato.
Ma anche queste sono solo opinioni, non migliori di quelle di tanti altri.
Le soluzioni giuste dobbiamo cercarle, deve cercarle il Governo e deve cercarle il Parlamento, peraltro senza partire dall’assunto che ogni problema del web possa sempre e comunque essere risolto con una nuova legge.
Ragioniamone tutti insieme online e offline come ha anticipato di voler fare Paola Pisano, neo Ministro dell’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
Conoscere è un presupposto irrinunciabile per deliberare.