Rifiuti elettronici, da costo a risorsa

Nei giorni scorsi Google ha annunciato il suo nuovo programma per lo sviluppo sostenibile impegnandosi, tra l’altro, entro il 2022, a utilizzare esclusivamente componenti ecologici o riciclati per la produzione dei suoi dispositivi elettronici.

È una buona notizia anche perché impegni analoghi cominciano a essere assunti da molti dei grandi produttori di elettronica di consumo. Ma ammesso che piani e impegni diventino realtà, ci vorranno decenni perché producano un impatto rilevante sul benessere del nostro pianeta.

Quella dei rifiuti prodotti da dispositivi elettrici e elettronici è, invece, un’autentica emergenza.

L’ultimo grido di allarme lo ha lanciato l’ONU, durante l’ultima edizione del Forum internazionale di Davos.
L’Organizzazione internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite parla, senza mezzi termini, del rischio imminente di un mondo letteralmente travolto da uno tzunami di rifiuti elettronici, al ritmo di oltre cinquanta milioni di tonnellate all’anno. A causa di tale impennata e inoltre dei tempi di obsolescenza naturali e programmati dei dispositivi elettronici che popolano il nostro quotidiano, il dato è destinato a aumentare in maniera esponenziale nello spazio di una manciata anni.

Più di frequente cambieremo il nostro smartphone, la nostra consolle da videogame, i nostri auricolari, la nostra televisione, più aumenteranno i rifiuti elettronici che produrremo.
Solo in Italia produciamo circa 13 chilogrammi di rifiuti elettronici per cittadino all’anno, ottocentomila tonnellate.
Ma il problema non è tanto la quantità di rifiuti elettronici che produciamo, quanto la circostanza che ne smaltiamo in maniera corretta appena il venti per cento.
E il paradosso è che se smaltiti correttamente i nostri cinquanta milioni di tonnellate di rifiuti elettronici varrebbero oltre cinquanta miliardi di euro, più o meno – tanto per contestualizzare – il prodotto interno lordo di un intero Paese come la Croazia o la Tunisia, per guardare a quelli che si affacciano sul mediterraneo.

Buttiamo via tanto e in fretta, lo facciamo male, inquiniamo, peggioriamo le già drammatiche condizioni ambientali e, per di più, sperperiamo miliardi di euro ogni anno. Ci perdiamo tutti e tanto sotto ogni profilo, ecologico e economico.

Cosa si può fare per correre ai ripari?
Vien da dire, tanto e niente.

L’Europa ha una sua disciplina sin dal 2012.
L’Italia l’ha recepita nel 2014 e ne ha poi messo a punto le regole con una lunga sequenza di Decreti Ministeriali, all’italica maniera, sino a arrivare al 2016.

Il principio di base è semplice ed è all’insegna di un vecchio brocardo: chi rompe paga.
La direttiva europea, infatti, stabilisce che chi contribuisce a inquinare vendendo nuovi dispositivi elettrici e elettronici è obbligato a semplificare la vita ai consumatori nello smaltimento corretto dei vecchi dispositivi, ritirandoli in maniera completamente gratuita.

Le regole anche in Italia ci sono e son semplici e, sulla carta, efficaci.

Uno contro uno: quando compri in negozio un dispositivo elettrico o elettronico chi te lo vende deve ritirare gratuitamente il tuo vecchio dispositivo che si tratti di uno smartphone, una lavatrice o una tv.
Uno contro zero: se hai un dispositivo elettrico o elettronico da dar via più piccolo di 25 cm, anche se non compri nulla, puoi lasciarlo a chi vende elettronica di consumo.
E, naturalmente, per gli elettrodomestici di grandi dimensioni, quando ti consegnano a casa il nuovo, devono ritirare anche il vecchio e questo tanto che tu abbia comprato in un negozio fisico o in uno shop online.
E poi ci sono, almeno sulla carta, le cc.dd. isole ecologiche dove chiunque di noi può smaltire direttamente qualsiasi tipo di rifiuto elettrico o elettronico.

Sembra tutto davvero semplice. Ma allora perché non funziona?

Perché i cigli delle nostre strade continuano a essere disseminati di televisori, lavatrici e frigoriferi arrugginiti e le nostre cantine piene di dispositivi che non useremo mai più e che lasceremo in eredità ai nostri figli e nipoti?

Una recente indagine ha rivelato che sette italiani su dieci ignorano il potenziale inquinante dei dispositivi di elettronica di consumo, ne ignorano il loro valore in caso di smaltimento corretto e, soprattutto, non hanno mai sentito parlare della legge sullo smaltimento di smartphone, smart tv, frigoriferi e affini.

È sempre la solita storia.
Facciamo le leggi, riconosciamo ai cittadini diritti importanti per loro e per la collettività ma poi non glielo raccontiamo.
La disciplina in questione si chiama disciplina sullo smaltimento dei RAEE, Rifiuti Apparecchi Elettrici e Elettronici.
C’è una sola possibilità che dovrebbe servire a fare in modo che i consumatori sappiano di poter smaltire facilmente i loro vecchi apparecchi. Sapete cosa prevede?
Che i produttori debbano spiegare ai consumatori come smaltire l’elettrodomestico appena acquistato nelle istruzioni.
Siate sinceri: quanto tempo è che non leggete, ammesso che l’abbiate mai fatto, il libretto delle istruzioni di uno smartphone, di un televisore, di un computer o di un frigorifero?
Il risultato è scontato: chi vende ha interesse a vendere ma non certo a ritirare apparecchi da smaltire a sue spese, chi compra non sa che potrebbe smaltire attraverso il venditore.

Servirebbe una legge (che non contribuirebbe solo alla soluzione di questo problema ma anche a quella di decine di altri) che innanzitutto vieti l’uso degli acronimi salvo in casi eccezionali e poi stabilisca un obbligo assoluto per chiunque intenda varare un provvedimento di legge o analogo avente un impatto sui cittadini e sulla collettività di inserirvi delle disposizioni idonee a garantire una conoscenza effettiva delle nuove regole.

Meglio non scrivere una legge che scriverla e lasciarla morire di desuetudine.

Al momento dell’acquisto di uno smartphone, di un frigorifero o di un televisore vi hanno mai chiesto se avreste voluto riconsegnare il vostro?

O, magari, avete trovato evidenziato in giallo fosforescente in fattura il vostro diritto allo smaltimento del vecchio apparecchio?

E sul sito di e-commerce, attraverso il quale avete comprato il vostro ultimo smartphone in una manciata di click, prima di chiedervi il numero di carta di credito e invitarvi a cliccare su “acquista” vi hanno, per caso, bloccato chiedendovi di scegliere cosa fare del vostro vecchio dispositivo?

E avreste mai cliccato su un link, come ce ne sono tanti, intitolato “Ritiro RAEE”?

E in TV avete mai visto una campagna di informazione su questo tema? Nei programmi del servizio pubblico televisivo ne avete mai sentito parlare? E vi siete mai imbattuti in una serie Tv nella quale l’assassino invece di passare a lasciare la sua camicia in lavanderia, passa a smaltire il suo vecchio smartphone, magari dopo aver cancellato tutti dati?

E se fosse accaduto? Sarebbe cambiato qualcosa?

Non si può dire con certezza ma varrebbe la pena provare.

Costa poco e vale molto, per l’ambiente e per il portafoglio.