Il diritto di tutela del nostro tempo

 

di Andrea Strozzi, capo del personale del MoVimento 5 Stelle al Senato

Oggi alla Rousseau Open Academy abbiamo parlato di identità digitale e di diritti digitali È vero che noi dobbiamo immaginare un futuro digitale, un futuro in cui in cui la componente tecnologica si approprierà della nostra esistenza. Però questo sarebbe, secondo me, un fallimento complessivo dell’evoluzione del progresso umano. Credo che servano degli anticorpi, degli agenti. Immaginiamoli come dei limitatori di velocità del progresso che possono poi concretizzarsi nella quotidianità in tante cose come per esempio in liberi pensatori, evangelisti di un nuovo modo di pensare alla tutela della nostra umanità. La politica deve essere lo strumento attraverso il quale interveniamo sui cambiamenti che ci stanno investendo. Questo compito non è assolutamente facile.

Leggevo recentemente che molti di noi arrivano a toccare la superficie del proprio smartphone 14.000 volte al giorno: sembra un numero spropositato, ma se lo dividete per le ore che abbiamo a disposizione in una giornata e per le volte che una app richiede il nostro “tocco”, questo numero non sembra più tanto grande. Per mandare un messaggio, è normale sfiorare il vetro dello smartphone anche più di 2-300 volte.

Ma quante volte tocchiamo le corde delle nostre emozioni? Pochissime perché non abbiamo tempo. E qua torniamo al diritto per cui io sono qui oggi: il diritto alla tutela del nostro tempo, o aggiungerei, del nostro tempo emotivo, il tempo che dedichiamo alle nostre emozioni. Questo credo che sia lo scopo. Una piccola precisazione: distinguo sempre tra obiettivo scopo. L’obbiettivo è qualcosa che realizzi nel breve periodo lo scopo, invece, è qualcosa di più alto, nobile, fondante, come nel nostro caso. Nella mappa della cittadinanza digitale che stiamo disegnando deve trovare spazio il diritto alla nostra umanità o al nostro tempo emotivo.

Ci sono tantissimi esempi. Io stesso sono un esempio. Per 15 anni sono stato un colletto bianco, lavoravo in banca, ma nel 2014 me ne sono andato. Ho dedicato 4 anni della mia vita a studiare i nuovi fenomeni che non passano sui radar dei circuiti mediatici. Iniziative nate dal basso, da persone che si disinteressano della politica e delle leggi e che vivono ai margini della società, ma è proprio lì che c’è un’umanità in continua evoluzione.

La digitalizzazione della società ci consente a tutti di parlare, di andare in overbooking di parole ma non ascoltiamo più nessuno.  Ma noi abbiamo due orecchie e una bocca. Dobbiamo parlare dopo aver ascoltato. Molto spesso noi oggi parliamo più di ascoltare o di sentire gli altri. Dobbiamo tutelare questa nostra componente. Sarà un’impresa impossibile, chi ha visto Matrix sa di cosa sto parlando, ma li esempi che ci fanno ben sperare sono molti: ecovillaggi, comunità, centri di formazione, parchi di energie rinnovabili. Ci sono tantissime iniziative popolari in cui la gente si ferma, medita, ascolta, immagina e costruisce un futuro diverso. Stanno meglio? Stanno peggio? Non lo so. Vediamo quanto sorridono, alla fine della giornata! O vediamo, alla fine della loro vita, quante persone si ricordano di loro, quante persone si ricordano affettivamente di loro.

Ciò non toglie che quello stiamo facendo oggi alla Rousseau Open Academy è fondamentale. Il progresso non si ferma, il progresso però, andrebbe integrato con il progresso emotivo e una maggiore dedizione al nostro tempo, tempo di pensiero, tempo di affetti tempo di azione.