Web Tax: c’è chi crede che più che di nuove tasse abbiamo bisogno di una nuova fiscalità

Niente web tax europea prima della fine di questa legislatura. Se ne riparlerà, eventualmente, per il 2020. Una parte dell’Europa festeggia, un’altra parte pensa a interventi nazionali, i più sperano in una soluzione sovra-nazionale in sede OCSE.

Uno studio pubblicato recentemente dall’European Centre for international political economic, che è autonomo e non finanziato né dalla Commissione né dal Parlamento europeo, fa il punto sul tema e su eventuali interventi. Abbiamo intervistato Matthias Bauer, autore dello studio, e Christian Borggreen, Vice President & Head of Office Computer & Communications Industry Association (CCIA Europe) che ci hanno dato il proprio punto di vista su un tema che riguarda sempre più aziende europee e sempre di più ne riguarderà in futuro.

 

Dr. Bauer, entriamo subito nel vivo dell’argomento. In Italia come nel resto d’Europea si discute da anni del fatto che non appare corretto che le società digitali paghino meno tasse delle altre società? Secondo lei, secondo il vostro studio è equo e corretto?

 

Le società digitali non pagano meno tasse rispetto alle società non digitali. I numeri usati dai politici per promuovere nuove tasse speciali sono per società ipotetiche. In altre parole, sono falsi, non attendibili. Questi numeri sono stati compilati dalla Commissione europea nel 2017 e da allora sono stati confutati da esperti fiscali e accademici. I dati del mondo reale per le aliquote fiscali effettive delle imprese dimostrano che non vi è alcuna differenza sistematica nelle imposte sul reddito pagate dalle società digitali rispetto alle società tradizionali. In molti casi, le aziende digitali pagano molto di più in termini di imposte rispetto alle grandi multinazionali, comprese alcune delle più grandi aziende italiane. Ad esempio, Google e Amazon mostrano aliquote fiscali molto più elevate rispetto a molte banche italiane. Quindi ci sono buone ragioni per chiedere: le grandi aziende italiane pagano equamente le tasse?

 

Eppure se se ne discute da anni un problema evidentemente esiste e una soluzione va identificata. Secondo lei abbiamo bisogno di nuove regole speciali per le società digitali o, semmai, c’è bisogno di correggere, alla radice, l’intero sistema fiscale?

 

Non abbiamo bisogno di nuove tasse. E non abbiamo bisogno di nuove tasse speciali su determinati servizi. Ciò di cui abbiamo bisogno è una riforma molto più sostanziale della tassazione delle società, sia a livello nazionale che internazionale. Le politiche fiscali aziendali e le pratiche di applicazione differiscono sostanzialmente da un paese all’altro. L’eterogeneità delle discipline fiscali impone un onere enorme, difficile da superare per le piccole imprese che vogliono fare affari all’estero. Inoltre, a causa della complessità della legislazione fiscale, attualmente è quasi impossibile per gli esperti fiscali giungere a conclusioni obiettive sul fatto che una società individuale o un gruppo di imprese sia “sufficientemente” tassata o meno. Nuove tasse speciali sui servizi digitali renderebbero ancora più complessa la tassazione delle imprese in Italia senza affrontare le questioni fiscali sottostanti. Molti politici trovano difficile comprendere la legge sulla tassazione delle società. Qualsiasi nuova tassa speciale renderebbe il diritto tributario delle imprese ancora più complesso mentre bisognerebbe far rotta verso una sua semplificazione.

 

Dr. Borggeen dal vostro osservatorio globale di un’associazione di categoria che rappresenta, in tutto il mondo, un comparto industriale protagonista della rivoluzione digitale in atto, quale è la chiave di volta? Nuove tasse speciali per le società digitali o una riforma dell’intero sistema fiscale che tenga conto della globalizzazione dei mercati?

 

L’intera economia si sta digitalizzando, quindi non ha senso rivolgersi solo a poche cosiddette aziende digitali. Come aziende globali sosteniamo gli sforzi dell’OCSE per realizzare una riforma fiscale molto più ambiziosa e globale, che copra l’intera economia di digitalizzazione, già l’anno prossimo.

Una domanda a entrambi. Ciò che probabilmente interessa di più ai nostri lettori è quale potrebbe o, addirittura, dovrebbe essere il ruolo di un Paese come l’Italia in questo scenario e quale quello dell’Europa?

Bauer: Il governo italiano dovrebbe puntare a un sistema fiscale societario più semplice e molto più trasparente, sia a livello di UE che a livello globale. Le regole fiscali più semplici sono più economiche e facili da rispettare per le aziende di tutte le dimensioni. Inoltre incoraggerebbero gli investimenti e l’occupazione in Italia. Nell’UE, ma anche a livello dell’OCSE, la sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra armonizzazione della base imponibile e concorrenza fiscale. Le aliquote fiscali statutarie aziendali dovrebbero sempre essere fissate a livello nazionale, ad es. dal governo italiano per l’Italia. Allo stesso tempo, vi sono ottime ragioni per l’armonizzazione della base imponibile. Qualsiasi iniziativa europea potrebbe essere coordinata nell’ambito di un quadro intergovernativo al di fuori del campo di applicazione della legislazione dell’UE. Una soluzione ai sensi della legislazione dell’UE pregiudicherebbe verosimilmente la concorrenza fiscale nell’UE in quanto molti politici dell’UE condividono l’appetito per imposte più elevate. Una normativa UE comporterebbe inoltre il rischio per il governo italiano di perdere la sovranità nazionale sulle questioni fiscali, che potrebbe avere un impatto negativo sulla percezione dei cittadini italiani in merito alla definizione delle politiche dell’UE. Ma c’è di più: l’onere delle imposte sulle società è nella misura maggiore a carico dei lavoratori e dei consumatori, rispettivamente attraverso salari più bassi e prezzi più alti. Si potrebbero prendere in considerazione tasse più trasparenti, cioè imposte sul reddito personale, sul reddito da capitale e sul consumo, piuttosto che imposte societarie che tendono a creare più problemi di quanti ne risolvano.

Borggreen: L’Italia dovrebbe guidare gli sforzi per raggiungere una riforma fiscale globale ambiziosa. Con una soluzione internazionale a portata di mano, potrebbe valere la pena di valutare se una tassa digitale nazionale rischia di minare gli sforzi globali e di sconvolgere le relazioni commerciali dell’Italia. Le tasse spesso finiscono per essere pagate da una persona diversa rispetto a quanto previsto. Una tassa digitale italiana verrebbe probabilmente trasferita alle imprese italiane che utilizzano piattaforme online e queste imprese a loro volta potrebbero trasferirla sui consumatori finali italiani.

La versione integrale dello Studio è disponibile qui.