Crescita e lavoro: ecco le nostre priorità per riformare l’Unione europea

Intervista a Fabio Massimo Castaldo, Efdd – Movimento 5 Stelle Europa, rilasciata a Il Sole 24 Ore

Domani il Parlamento europeo voterà sulla riforma del Fondo salva-Stati (Mes) per potenziarlo essendo uno degli strumenti anti-crisi europei di punta. Qual è la vostra posizione a riguardo?
Siamo contrari alla trasformazione del Mes in Fondo monetario europeo perché c’è il rischio che diventi uno strumento di punizione per gli Stati in difficoltà. Il trattamento riservato alla Grecia ne è la dimostrazione. Servono invece misure e strumenti che affrontino le cause profonde che sono all’origine dei crescenti squilibri macroeconomici. Per questo vogliamo intervenire ex-ante su queste asimmetrie all’interno di questa Unione monetaria che è incompleta.

L’Irlanda tuttavia è un Paese aiutato dal Mes che ha ritrovato la via della crescita. E’ portato come esempio, come modello di successo della politica del fondo salta-Stati. (ndr ha tagliato il deficit-Pil allo zero virgola) 
Non è un esempio calzante perché l’Irlanda ha adottato politiche fiscali molto aggressive e poco solidali nei confronti degli altri Paesi membri. Invece di concentrarci sul Fondo salva-Stati, che è impone politiche di austerità, sarebbe più opportuno modificare il Six Pack e il Two Pack per implementare politiche fiscali pro-crescita. Serve una governance economica diversa che, per esempio, limiti i surplus eccessivi come quello della Germania. Gli strumenti sanzionatori previsti non vengono utilizzati. Questo è un chiaro esempio di un’Europa che usa due pesi e due misure. Correggiamo i surplus eccessivi, invece di punire sempre chi è in disavanzo: anche questo è un modo per rendere l’Europa più stabile.

Cosa proponete in concreto?
Proponiamo trasferimenti fiscali dai Paesi con surplus in eccesso ai Paesi in difficoltà.

Direttamente da Stato a Stato oppure attraverso uno strumento intermedio, come potrebbe essere per esempio l’eurobudget?
Gli strumenti intermedi possono essere messi a servizio di chi vuole imporre l’austerity in cambio di sostegni per forzare politiche restrittive su Paesi già in crisi. E’ l’uso che si fa degli aiuti o dei trasferimenti, il punto cruciale. Preferiamo un trasferimento che avvenga attraverso le attuali Istituzioni europee, come per esempio la Commissione.

Nel momento in cui una crisi scoppia, bisogna pur avere uno strumento europeo che possa intervenire rapidamente per domare la crisi. La Bce lo ha fatto, con una vasta gamma di strumenti.
Riconosciamo il lavoro fatto dal Bce, tuttavia il suo Statuto andrebbe modificato per permetterle di agire anche su un target diverso, come l’occupazione, e solo dopo sulla stabilità dei prezzi che è un’ossessione tedesca. La Federal Reserve, per esempio, ha un doppio mandato. Anche il primo mandato della Bce dovrebbe focalizzarsi sull’occupazione nell’eurozona. Abbiamo sempre chiesto che la Bce diventi prestatore di ultima istanza o, alternativamente, si vari l’introduzione di meccanismi di condivisione del rischio come gli eurobond senza imporre condizionalità.

Dietro quella che lei chiama “condizionalità” c’è un sistema basato sul “dare e avere”. Gli Stati che sono in una posizione di aiutare gli altri vogliono accertarsi che lo Stato aiutato esca dalle secche e che in cambio degli aiuti faccia le riforme strutturali per rilanciare la crescita: i Paesi forti si insospettiscono quando l’Italia, con il suo alto debito pubblico, chiede dando l’impressione di non voler dare o fare in cambio nulla.
E’ vero che l’Italia ha un alto debito pubblico, questa è un’eredità di macerie e scorie che viene dal passato. Ma bisogna anche ricordare i fondamentali economici solidi del nostro Paese. Siamo la terza economia dell’eurozona e la seconda potenza manifatturiera, abbiamo un altissimo tasso di risparmio e un avanzo primario da anni. Questi sono punti di forza che anche il capo economista di Deutsche bank Folkerts Landau ci riconosce. Noi non chiediamo nulla di irragionevole se non più investimenti pubblici per la crescita, scomputati dal calcolo del deficit. Solo così potremmo uscire dalle difficoltà economiche che sono strutturali. Non rifiutiamo le regole europee, chiediamo solo di fare di più per la crescita.

E’ anche per questo che siete contrari all’accelerazione che si vuole dare alla riduzione dei NPLs? Anche questo andrà al voto domani…
Non minimizziamo la pericolosità dei NPLs anche se l’Italia in questi anni ha fatto molti sforzi per ridurne l’ammontare ma siamo contrari alla disparità di trattamento nelle regole che hanno avuto finora i crediti deteriorati rispetto ai derivati. I NPLs sono di fatto prestiti all’economia reale non restituiti mentre i derivati sono strumenti illiquidi, rischiosi e pericolosi che ci espongono a rischi sistemici. Non siamo ingenui, perseverare in maniera ossessiva sul taglio dei NPLs non aiuterà l’economia perché porterà a una stretta del credito alle Pmi e alle famiglie.

La vendita dei NPLs, questa la tesi di chi ne favorisce la riduzione alla svelta, libera spazio nei bilanci delle banche per incrementare i nuovi crediti e finanziare l’economia. Inoltre, senza ridurre i rischi nei bilanci delle banche, l’Unione bancaria non va avanti. Siete contrari alla Banking Union?
Siamo favorevoli alla garanzia unica sui depositi, ma porteremo avanti una riforma del bail-in per togliere dalla risoluzione delle banche in crisi i depositi e le obbligazioni bancarie detenute da retail. L’Unione bancaria, infatti, prevede solo meccanismi di riduzione di rischi e non di condivisione. Durante la prossima legislatura è prevista la revisione della parte relativa al bail-in della BRRD. In quella fase, ci impegneremo per l’esclusione da Bail-in di tutti depositi retail e di tutte obbligazioni detenute da investitori retail in modo che non si ponga in essere la necessità di attaccare risparmiatori retail e i depositanti. Inoltre, siamo anche contrari, al modello di banca cosiddetto ‘universale’ che combina il modello classico di banca con quello di investimenti ha dimostrato non solo di essere inefficace ma, ancor peggio, dannoso per i cittadini europei. La separazione tra le due attività non può che essere l’unica soluzione.

L’asse europeista Berlino-Parigi si sta rafforzando, senza l’Italia: non temete che l’Italia rischi di rimanere isolata, lontana da tutte le posizioni europeiste che spaziano dai Paesi core ai semi-core ai periferici aiutati dal Mes?
L’Italia è stata spesso relegata ad un ruolo secondario, in passato, costretta ad accodarsi. Francia e Germania non sono allineate su tutto, c’è in atto un forte scontro sulla condizionalità da collegare alle trattative sul bilancio europeo pluriennale e chissà se l’accordo verrà raggiunto. L’Italia ha le carte in regola per trattare con gli altri Stati, sia quelli che sono dentro l’area euro sia quelli che stanno fuori ma entreranno, perché noi vogliamo essere perno di aggregazione e motore del cambiamento in un’Europa finalmente votata alla crescita.