Lo conosciamo il privato

Lo conosciamo il privato. È nella sua natura agire per privazione, sottrarre alla collettività per dare a sé stesso e fare profitto. Nulla di male, se i beni privatizzati sono disponibili, non essenziali, e si crea libero mercato. Un’aberrazione, quando parliamo di beni vitali come l’acqua.

Riuscireste a immaginare un mondo in cui l’acqua è nella sola disponibilità dei privati, e chi non ha i mezzi non ha accesso ai servizi idrici? Non è lo scenario di un futuro distopico, ma qualcosa di più vicino di quanto non si pensi. Mai come in questi anni l’acqua è stata sotto attacco. Nel 1995 il vice presidente della Banca Mondiale, Ismail Serageldin, disse: “Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua“.

Lo sapete che la crisi idrica coinvolge moltissimi paesi? Solo per fare qualche esempio: Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico, Ghana, Stati Uniti. In Bolivia negli anni 90 e 2000 la privatizzazione dell’acqua fece vivere situazioni drammatiche alla popolazione, che scese in strada per protestare contro il governo, responsabile di aver venduto l’acqua della regione a un gruppo di multinazionali straniere. Non a caso quel paese ha completamente cambiato politica sul diritto all’acqua.

Anche in Italia in passato i Governi hanno imposto norme sempre più privatizzatrici, sovvertendo il referendum del 12 e 13 giugno 2011, quando oltre 27 milioni di italiani hanno votato SI all’abrogazione delle norme sula remunerazione del capitale dei servizi idrici.

Simili azioni non solo sono un attentato alla democrazia, ma un atto di ignoranza e di repulsione rispetto alla nostra storia. Chi in passato lo ha fatto, con norme come lo “Sblocca Italia” e i Decreti “Madia” del 2016, non sa che Roma fu la prima città a introdurre l’idea di fontane pubbliche con acqua potabile. E che, ancora oggi, è la città con la più alta concentrazione di fontane in tutto il mondo.

In tutta Roma sono presenti più di 2500 fontanelle che i romani chiamano “nasoni”. Spesso sono anche dette “democratiche” perché sono accessibili a tutti e possono essere trovate in qualunque quartiere della città. Esistono da quasi 150 anni e sono il simbolo della storia italiana del diritto all’acqua. A introdurle fu il primo sindaco della capitale liberata, Luigi Pianciani. Un garibaldino, che a dispetto del suo essere massone sapeva di cosa aveva bisogno la gente della sua epoca. Il suo mandato durò solo due anni. Il tempo per dare un esempio capace di gettare una luce che arriva fino ai nostri giorni e illuminare la prima stella del Movimento.

Dopo quasi 10 anni di battaglie, fuori e dentro il parlamento, il 2019 segnerà un traguardo storico: l’approvazione della legge sull’acqua pubblica del Movimento 5 Stelle. Nel testo si chiede che ci sia trasparenza su dati e procedure, per permettere ai cittadini di essere protagonisti consapevoli della gestione di questo bene comune, che rappresenta un diritto umano universale. La legge ridefinisce il sistema di pianificazione e gestione dell’acqua, e lo organizza sulla base di ambiti di bacino idrografico, che rappresentano le competenze naturali di gestione di tutto il ciclo. Inoltre individua gli strumenti necessari per avviare un processo di cambiamento verso una gestione pubblica e partecipata del Servizio Idrico Integrato.

Ma soprattutto afferma un principio: che l’acqua è pubblica, e che l’accesso ai servizi idrici è un diritto di tutti. Il modo giusto per riaffermare che la volontà popolare è sovrana. E dire ai privati “fate i vostri profitti, ma non sui diritti essenziali come l’acqua”.