Operazione verità sullo sfratto della mamma 83enne di Paola Taverna

Ci sarebbe da raccontare 80 anni di storia di una donna, vedova a 46 anni, che ha cresciuto due figlie in uno dei quartieri più complicati di Roma e che lo ha fatto sempre con grande onestà. Un valore che ha trasmesso a me e alla mia famiglia e sul quale ho fondato il mio ruolo politico. Per questo farò uscire mia madre da quella casa, nonostante abbia i requisiti e si sia trattato di una mera dimenticanza amministrativa. Per sottrarla al voyeurismo, alla morbosità di questa informazione che, pur di colpire un esponente politico di un partito, che probabilmente non le piace, non ha lesinato a speculare sul dolore di una donna. Scrivete pure quello che volete, io continuo, continuo sulla mia strada.

Pubblicato da Paola Taverna su Venerdì 11 gennaio 2019

Questo post è un’operazione di verità e trasparenza rispetto alle notizie false che stanno uscendo sulla questione della casa di mia mamma. Ci tengo a ricordare che mia mamma è una donna di 83 anni e ad oggi ha tutti i requisiti per un alloggio popolare.

Il problema nasce semplicemente da una mia dimenticanza nel ’98, quando mi sono sposata, di un cambio di residenza. Questo ha comportato, durante gli anni, che i miei beni siano stati sommati a quelli di mia mamma, e lei ha perso i requisiti per quell’alloggio popolare.

Quando abbiamo fatto ricorso l’abbiamo fatto esclusivamente perché pensiamo di avere ragione.
La forma, ossia che io avessi mantenuto lì la residenza, non poteva essere più importante della sostanza, ossia che io in quella casa non ci abitavo più da 20 anni. Il giudice ha deciso diversamente, e come tutti i cittadini italiani io eseguirò quello che il giudice ha detto, ossia: mia mamma lascerà quella casa popolare.

La cosa che ci tengo a dire, e per la quale tanto ho sofferto in questa vicenda, è che tutta questa storia, che poi si riduce in un banale problema amministrativo, è stata usata per colpire me. E per colpire me hanno fatto molto male a mia mamma, che non c’entrava assolutamente nulla. Quando abbiamo fatto ricorso al giudice, abbiamo chiesto esclusivamente che una donna di 80 anni – che oggi ha i requisiti e che li ha sempre avuti i requisiti (perché scorporati quelli che erano i miei beni, mia mamma ha i requisiti per la casa popolare) – potesse mantenere quell’alloggio per il periodo che le rimaneva, perché è una donna anziana.

Sicuramente l’avrei portata via io prima, perché oggi per fare tre piani di scale ci mette più di un quarto d’ora. Però l’avrei voluto fare con l’amore di una figlia. L’avrei voluto fare senza pensare che le stavano strappando quello che ha sempre vissuto come suo: la casa dove siamo nati noi.

Mia madre sta in quella casa dal ’67 (alcune notizie date dai giornali sono sbagliate), ma bisognerebbe raccontare 80 anni di storia, e non ne ho intenzione. Sono 80 anni di storia di una donna vedova a 46 anni, che ha cresciuto 2 figlie in uno di quartieri più complicati di Roma, e che l’ha fatto sempre con grande onestà.

Ed è questo il valore che ha trasmesso a me e alla mia famiglia, e su questo valore io ho fondato il mio ruolo politico. E proprio in base a quel valore io faccio uscire mia madre da quella casa, riservandomi ovviamente (dopo aver letto la sentenza, perché ancora non c’è neppure la sentenza) di poter fare ricorso.

La porto via per sottrarla al voyerismo, alla morbosità di questa informazione, che pur di colpire un esponente politico di un partito che probabilmente non gli piace, non ha lesinato a speculare sul dolore di una donna. Una donna che aveva tutto il diritto di fare il ricorso per vedersi riconosciuti i propri diritti.
Quindi finisco qui, non ho più niente da dire, non dirò più niente. L’unica cosa alla quale tengo è quella di tutelare mia mamma da ulteriori speculazioni su una faccenda che la riguarda personalmente, e che nulla c’entra con me e che nulla c’entra neppure con voi. Credo che sia questa l’unica azione che una figlia dovrebbe fare.

Per il resto, scrivete anche quello che volete. Io continuo sulla mia strada.