Il piano di Socialisti e PPE per fermare il cambiamento: no alla norma contro i cittadini

Non si può fermare il vento del cambiamento con le mani, tanto meno con mezzucci da Prima Repubblica. I gruppi dell’establishment europeo hanno presentato degli emendamenti al regolamento del Parlamento europeo per impedire, di fatto, la formazione di nuovi raggruppamenti. Questi emendamenti verranno votati giovedì prossimo dalla plenaria. Abbiamo chiesto un dibattito in aula per informare tutti i cittadini ma ci è stato negato. Qualcuno forse si vergogna? È evidente che vogliono silenziare le forze politiche del cambiamento ma non ci riusciranno.

Se queste modifiche al regolamento dovessero passare, avremo la dittatura della maggioranza che può decidere arbitrariamente se mantenere in vita o no i gruppi politici non allineati al mainstream. La democrazia poggia da sempre sulla tutela dei diritti delle opposizioni, in primis il diritto di proporre e difendere la propria alternativa politica. Il diritto di lavorare dentro un consesso in cui tutti i parlamentari dovrebbero essere (e spesso non sono) uguali. Diritti che però vengono volutamente calpestati dalle modifiche al regolamento parlamentare.

Negli emendamenti presentati da PPE, S&D e ALDE si parla di “manifesta evidenza” della “mancanza di affinità politica” all’interno dei gruppi come giustificazione per il loro scioglimento, ma la definizione di cosa sia tale “affinità” non esiste, manca un qualsiasi parametro oggettivo a cui ancorarla: sarà quindi un giudizio totalmente discrezionale, anzi arbitrario. E si presterà a probabili abusi punitivi verso chi non si conformerà ai voleri dei gruppi dell’ancien régime. In una Unione con 500 milioni di abitanti e 27-28 Stati membri le diversità politiche sono normali e fisiologiche: sono una ricchezza. E sussistono in modo netto in diversi gruppi politici, anche in quelli summenzionati, spesso suddivisisi in correnti interne con sensibilità divergenti: basti pensare a quella larga maggioranza del PPE che ha votato per l’attivazione dell’art. 7 contro l’Ungheria di Orban, che pure fa serenamente parte proprio del loro gruppo politico. Ma sappiamo già che ovviamente queste mancante affinità non verrano ritenute rilevanti: siamo abituati a regole che si applicano per alcuni e si “interpretano” per altri.

È evidente che c’è qualcuno che ha paura del cambiamento
 e vorrebbe fermarlo illudendosi di ingabbiarlo con regole antidemocratiche: ci provino pure. I cittadini sono coscienti di quanto sta accadendo: saranno loro a presentargli il conto di questi sotterfugi scellerati a maggio.