La strategia del governo su startup e innovazione spiegata da Luigi Di Maio

L’intervista di Riccardo Luna, direttore dell’AGI, a Luigi Di Maio

“Buon Natale!”. Sono da poco passate le undici del mattino della vigilia di Natale del primo anno di governo gialloverde. Dopo giorni concitati come non si erano mai visti, dopo le lacrime di Emma Bonino in difesa del Parlamento, dopo la notte dei senatori alle prese con una manovra economica che avrebbero votato senza neanche il tempo di leggerla, dopo le ennesime polemiche furibonde che facevano da contraltare agli ennesimi post di giubilo e ai foglietti con scritto vero e falso, è scattata la tregua. Da Milano ci è appena arrivata la foto di Matteo Salvini in un ospedale vestito da Babbo Natale. E da Pomigliano la voce di Luigi Di Maio arriva forte e chiara nella redazione dell’AGI.

E’ un giorno strano per una intervista, ma c’è qualcosa nella legge di bilancio che è passata al Senato come è passata e che passerà alla Camera esattamente come è passata al Senato, ovvero un voto e passa la paura, c’è qualcosa di importante che è rimasto fuori dai radar, qualcosa che nessuno ha notato, qualcosa che chi si occupa da anni di questi temi considera il primo vero “Innovaction Act” italiano. La prima legge che dà un impulso serio, concreto e forse decisivo ad un ecosistema ricco di talenti, ma povero di soldi e per questo soprattutto assolutamente marginale. Parliamo di startup, ma non solo. Parliamo del futuro di ragazzi che invece che andarsi a  cercare il reddito di cittadinanza proveranno a creare una azienda, una di quelle aziende ad alto contenuto di tecnologia in grado di crescere in fretta, e crearlo davvero il reddito per chi ci lavorerà.

Di Maio oggi vuole parlare solo di questo. Non gli chiederemo dei rapporti con la Lega o della durata del governo; non gli chiederemo se oggi si riaffaccerebbe sul balcone di palazzo Chigi esultando per il 2,4 per cento che nel frattempo è divento 2,04, o se ripeterebbe una frase temeraria come “abbiamo abolito la povertà”; e neppure come sarà il Natale a casa Di Maio dopo le polemiche che hanno travolto il padre e l’azienda di famiglia. Oggi parliamo di futuro e la voce del vice presidente del Consiglio è squillante. Quasi sollevata vien da pensare perché finalmente può parlare di un pacchetto di misure di cui si discuteva da anni e che il suo staff al ministero dello Sviluppo Economico ha infilato in extremis nella legge di bilancio, innescando una accelerazione virtuosa che, se ci sarà, sarà qualcosa che non si è mai vista prima da queste parti.

Allora, partiamo dalle startup. Nella manovra ci sono alcune delle norme che attendevamo da anni. E non ne ha parlato nessuno. Neanche tu. Eppure muove tanti soldi.

“Primo, io sono scaramantico. E quindi “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Aspettiamo l’approvazione definitiva che è sostanzialmente in dirittura di arrivo perché alla Camera non ci saranno modifiche. E poi ho previsto un appuntamento al ministero a gennaio che si chiamerà “Open Mise” in cui inviterò tutto il mondo dell’innovazione per presentare questi strumenti e spiegare la strategia. La strategia è questa: mettere l’Italia alla pari con gli altri Paesi europei che stanno facendo politiche molto competitive per le startup. E non solo sviluppare le startup italiane, ma anche fare campagna acquisti all’estero e portarne qualcuna in Italia. Gli strumenti che abbiamo messo in piedi permetteranno di portare l’Italia al livello di altri paesi, come la Francia e la Inghilterra, che sostanzialmente in questi anni hanno rubato le nostre menti migliori, i nostri Leonardo da Vinci, i nostri Ferrari, gli Olivetti”.

Più che rubato li hanno attratti perché da noi non c’erano le condizioni per far crescere le loro aziende. Mancavano le risorse.

“Io ti dico che la strategia che stiamo portando avanti si divide in due. Una parte punta a creare un habitat favorevole a chi vuole fare startup. L’altra punta a digitalizzare le piccole e medie imprese, le pmi. Per le startup tutto ruoterà attorno al Fondo Innovazione Italiano, che permetterà anche investimenti di privati. Per questo abbiamo formalizzato le figure dei business angels per esempio…”

Formalizzato vuol dire che li avete riconosciuti, ovvero che oltre una certa soglia di investimenti in startup puoi definirti business angel: giusto?

“Sì. Esistono per la legge italiana. Lo so che non dovremmo gioire su una cosa che avremmo dovuto fare tanto tempo ma l’abbiamo fatta e sulla base di questo riconoscimento avranno una serie di vantaggi. Inoltre nella conversione del decreto semplificazione che inizierà subito dopo la Befana anche la blockchain esisterà per la legge italiana. Infine abbiamo creato alcune fiscalità di vantaggio sia per i PIR, i piani individuali di risparmio, che quelle aziende che acquistano quote di startup…”.

Fermiamoci un attimo per capire: sui PIR avete deciso che il 5 per cento vada in capitali di rischio, il venture capital. Il 5 per cento sono tanti soldi. Come glielo spieghi agli italiani che una parte dei loro risparmi sarà investita in capitali di rischio? (come accade in tanti altri paesi del resto).

“Capitali di rischio è sbagliato come parola. L’investimento che noi stiamo favorendo con questo 5 per cento ci consente di investire nel futuro e quindi favorirà lo sviluppo di un futuro migliore per l’Italia. E accanto a questo lo Stato si impegna a investire il 15 per cento degli utili che percepisce dalle società partecipate in venture capital…”

Sono circa 400 milioni di euro l’anno.

“Esatto. Sono tanti soldi ma tutto questo ruota attorno ad un concetto: dobbiamo colmare un gap e servivano delle misure molto spinte per recuperare. Fra PIR, utili delle partecipate e tutta la fiscalità di vantaggio per chi investe in startup innovative….”

Quali saranno i vantaggi per le aziende che comprano una startup?

“Per chi acquista il 100 per cento di una startup e la tiene per almeno tre anni parliamo del 50 per cento, mentre per gli investimenti semplici il 40…”

Questo dovrebbe affrontare uno dei problemi che da sempre affliggono il settore: la mancanza delle cosiddette exit, cioé il fatto che nessuno si compri la nostre startup.

“Sì, sono detrazioni fiscali molto importanti che assieme agli altri provvedimenti ci consentono di fare un intervento choc, di dare una bella scossa”.

Torniamo al venture capital. Con i fondi del MISE puntate a investimenti diretti in startup o a investire nei fondi esistenti?

“Noi vogliamo esserci nel Fondo per l’Innovazione, per orientare gli investimenti, e lo stesso faranno altri enti dello Stato, d’ora in poi potranno farlo. Allo stesso tempo noi abbiamo un altro fondo, da 45 milioni, che ci servirà per gli investimenti diretti nelle nuove tecnologie. Quindi, 90 milioni li voglio usare per entrare nel Fondo Innovazione, possedendone una quota come MISE per stare nel comitato che decide gli investimenti. Poi Invitalia cederà Invitalia Ventures a Cassa Depositi e Prestiti (400 milioni circa, ndr), e a sua volta CDP apre a un suo fondo di circa 600 milioni che già  voleva fare sul venture capital. Quindi all’inizio dell’anno prossimo superiamo abbondantemente il miliardo di euro con la novità che lo Stato può investire direttamente in questi fondi. Accanto a questi altri 45 milioni che erano nel bilancio del MISE ci servono per un’altra cosa importante: la blockchain applicata al made in Italy. Per combattere la contraffazione, useremo la blockchain già nel 2019”.

Ok, la blockchain è sicuramente una delle tecnologie emergenti, anche se converrai che in pochi hanno capito di cosa si tratta davvero. Come la spieghi quando te lo chiedono?

“Ogni volta che spiego io la blockchain c’è un esperto di blockchain che muore nel mondo, ma lo farò ugualmente. E’ come se ci fosse sempre un notaio accanto a te che ti certifica la provenienza di un prodotto, o l’autenticità di una transazione. E’ come un notaio virtuale che garantisce per te”.

E per il made in Italy come influisce?

“Vogliamo sperimentare questa tecnologia in una delle filiere più colpite dalla contraffazione in modo che l’utente finale possa conoscere l’esatta provenienza di quel prodotto artigianale o alimentare quando lo va ad acquistare. Noi in questo modo garantiamo l’autenticità di un prodotto italiano. In questo modo portiamo la blockchain fuori dal mondo nerd dove sta adesso”.

I 45 milioni del MISE sono tutti per la blockchain?

“No ci serviranno anche per fare esperimenti nel campo dell’intelligenza artificiale. Abbiamo fatto adesso una call per formare un comitato di esperti e presto faremo la prima riunione con l’obiettivo di sperimentare l’intelligenza artificiale in alcuni settori. Uno su tutti, te lo dico ma non ti dico con chi lo farò, è la semplificazione normativa. Ci sono delle società che dispongono di software in grado di dirci dove si sovrappongono e a volte contraddicono le varie leggi italiane. Così potremo intervenire a colpo sicuro”.

Come si concilia questo pacchetto startup con il resto della manovra?

“Sono perfettamente integrati, perché mentre noi investiamo nel futuro, in sviluppo e tecnologia, creiamo le condizioni per la pace sociale perché non c’è sviluppo senza pace sociale. Gli interventi sul welfare che andiamo a fare puntano a questo e a far riemergere quelle persone che oggi vivono ai margini, nelle periferie delle nostre città abbandonati a loro stessi”

Quali sono le startup italiane che ti hanno colpito di più in questi anni.

“Quelle che resistono. La capacità di resilienza dei nostri startupper è molto più alta che altrove. Preferisco non fare nomi, ma tra le migliori ce ne sono un paio nel fintech che stanno facendo molto bene, altre nell’ambiente, come quella che un anno fa è stata premiata da StartupItalia!, che fa le traversine dei treni con gli scarti degli pneumatici….”

Si chiama GreenRail, e la cosa paradossale è che lavora in tutto il mondo ma non con Ferrovie dello Stato.

“Lo so, è veramente assurdo, infatti la promessa che ho fatto loro è stata di metterli in contatto con Ferrovie. Poi c’è una terza startup che mi piace molto, è quella che in Basilicata di propone di promuovere i prodotti della terra, hanno creata un portale con un loro brand che è diventato di moda a Londra e Berlino. Per dire che non parliamo solo di innovazione tecnologica”.

Se c’è qualcosa che ancora manca è la possibilità per la pubblica amministrazione di lavorare con una startup: oggi una startup non può diventare fornitrice di un ente pubblico perché non hai i requisiti di bilancio per iscriversi al mercato della pubblica amministrazione. Farete qualcosa anche su questo?

“Con le aziende di Stato lo stiamo valutando e ci saranno novità presto, nei prossimi mesi. Poi è auspicabile che lo faccia anche la pubblica amministrazione ma ho un timore. Finora il pubblico era alla mercé della prima proposta che arrivava. Per questo vorrei prima rafforzare la cultura dell’innovazione dello Stato e poi gradualmente aprire il mercato. Per evitare di ripetere i disagi creati dalla digitalizzazione a macchia di leopardo che c’è stata finora”.

A proposito: che ti pare dei primi passi del nuovo commissario di governo per la trasformazione digitale Luca Attias?

“Sono contento perché sta operando in continuità con il lavoro svolto prima da Diego Piacentini e dal suo team. Sono molto contento e collaboriamo con loro anche per tutto ciò che riguarda il reddito di cittadinanza”.

E’ vero, come si era detto all’inizio, che il funzionamento della complessa macchina del reddito di cittadinanza passerà anche dal lavoro del Team Digitale?

“Assolutamente. Con loro abbiamo fatto una serie di cose che ci serviranno per il portale. Tieni conto che tutto il processo di identificazione, presentazione dei documenti e accesso al reddito sarà fatto tutto in digitale, mentre con il reddito di inclusione dovevi andare ai centri per l’impiego a consegnare le carte. Quindi abbiamo fatto tutto un lavoro di accesso alle banche dati e adesso la mia grande sfida per il 2019 è andare verso l’identià digitale generalizzata. Noi dobbiamo consentire al cittadino, quando ha la carta di identità, di avere anche una identità digitale che gli consenta di accedere a tutti i servizi della pubblica amministrazione”.

Da quello che dici, intravedo una svolta sul tema: in Italia c’è l’identità digitale, si chiama SPID, ha appena superato i tre milioni di utenti, ma nessuno può davvero dire che sia un successo. E’ vero che state pensando di cambiarla, di passare da un modello per cui il cittadino acquista SPID dai privati, ad un altro in cui lo Stato la eroga a tutti?

“Non ho nessun pregiudizio nei confronti di SPID. Il Team digitale ha sviluppato diverse possibilità compresa la carta di identità digitale. Ora dobbiamo decidere in quale direzione andare. La cosa certa è che, anche grazie alla misura del reddito di cittadinanza, abbiamo l’occasione di fare identificare milioni e milioni di persone in più che dovranno identificarsi se vorranno prendere il reddito di cittadinanza”.

Dovranno prendere tutti lo SPID?

“Stiamo lavorando in questa direzione”.

Il decreto sarà l’8 gennaio?

“Sarà nei primi giorni dopo il rientro. Il testo è pronto, occorre solo convocare il consiglio dei ministri”.

Torniamo per un istante al tema startup, ma il discorso vale anche per il resto: su questi argomenti, che non sono né di destra nè di sinistra ma dovrebbero essere patrimonio di tutti, non varrebbe la pena di avere un atteggiamento bipartisan? Nelle passate legislature c’era l’intergruppo parlamentare innovazione che portava avanti congiuntamente certe battaglie. E’ possibile ripetere quella esperienza in questo clima politico?

“Non c’è bisogno neanche di dirlo. In questo periodo, al di là degli scontri sulla manovra, quando ho fatto le due call al MISE su blockchain e intelligenza artificiale, la composizione è uno spaccato dell’intera società. Per esempio nel gruppo di esperti sull’intelligenza artificiale ci sono sindacalisti fra gli altri, perché quel mondo sa che le innovazioni in arriveranno rivoluzioneranno il lavoro. Tutti sanno quanto è fondamentale questo momento storico per cogliere le opportunità dei cambiamenti. Aggiungo un’altra cosa importante: tutto il pacchetto Industria 4.0 dei precedenti governi lo abbiamo rimodulato sulle aziende piccole e medie al posto delle grandissime, e lo abbiamo aperto al cloud. Voglio dire che se hai una piccola azienda e fai un investimento sul cloud questo fa parte degli sgravi fiscali previsti dalla legge. Prima non si poteva fare”.

Torniamo alla manovra. Avete recuperato in extremis la webtax. In realtà in Italia c’era già una legge, da un anno, ma era scritta così male che il ministero dell’economia non ha mai fatto il decreto attuativo perché avrebbe punito le imprese italiane al posto dei cosiddetti giganti della Silicon Valley. Ora ce n’è una nuove versione, con un gettito previsto di 500 milioni l’anno: come funzionerà?

“Prima di tutto voglio dire che con me il MISE sarà un baluardo contro derive anti web e anti digital. Anche questa web tax, che non è una misura punitiva, ha bisogno di un decreto ministeriale MEF-MISE per essere attuata e noi vigileremo in tale senso; non che al MEF ci siano derive anti web, ma noi abbiamo un obiettivo, guardare a quello che fanno gli over the top; per questo sono previsti parametri che guardano al fatturato mondiale che sostanzialmente si rivolgono agli over the top che contribuiranno in misura del 3 per cento del fatturato fatto in Italia e contribuiranno a riallineare la posizione di estremo vantaggio che hanno in alcuni settori, penso soprattutto al turismo e al commercio”.

Fate in tempo a far tutto per aprile?

“Sì, sì, sì. Questa è una delle cose che faremo per prime anche perché ne va del gettito della manovra, ne abbiamo estremamente bisogno”.

Il 23 dicembre era l’anniversario di una norma che ha compiuto due anni che ha a che fare con l’innovazione: il FOIA, il Freedom of Information Act, che possiamo tradurre come il diritto di conoscere la verità. Molto usata dai giornali vicini al M5s quando eravate all’opposizione perché, per esempio, vi consentiva di scoprire dove erano finiti i Rolex regalati a palazzo Chigi. Adesso che siete al governo, è vero che limiterete la portata del FOIA, che qualche ministro sta pensando di ridurlo?

“No, no, anzi, chiunque ci stia pensando non so a quale indirizzo politico risponda. Noi vorremmo fare un vero FOIA. A livello internazionale il principio di accesso agli atti è molto più esteso di quello che avviene in Italia. Noi vogliamo andare nella direzione di estendere ancora di più quel diritto, di renderlo ancora più forte. Per fare un esempio, noi quei Rolex li abbiamo visti quando siamo arrivati a Palazzo Chigi prima per riuscire ad avere le informazioni è stato impossibile. Quindi smentisco la voce che dice che staremmo pensando di restringere il FOIA: è vero il contrario”.

Parlando di innovazione, nei comizi da qualche tempo continui a dire che la sorpresa del 2019 saranno le riforme istituzionali, ovvero il taglio di 345 parlamentari. Contestualizziamo: nel contratto di governo vi eravate impegnati a ridare centralità al Parlamento. Diciamo la verità: anche alla luce della discussione azzerata sulla manovra, avete fatto il contrario. E adesso?

“Sicuramente questa legge di bilancio essendo stata modificata in corsa per l’accordo com la Commissione europea, ci ha costretto a ridurre i tempi della discussione. Fa parte di una dinamica che non aveva nessuna nostra intenzione, abbiamo una maggioranza solida sia alla Camera che al Senato non abbiamo nessuna paura della discussione, ma il maxiemendamento aveva una serie di interventi che erano frutto dell’accordo con l’Unione europea. Ciò detto non si va nella direzione di voler mortificare le democrazia e i parlamentari perché nello stesso provvedimento dove si prevede di ridurne il numero di 345 unità, ci sono referendum propositivi senza quorum per i cittadini. Aumentiamo strumenti di partecipazione diretta e abbiamo meno bisogno di un numero così alto di parlamentari”.

Torniamo all’innovazione. Sul tema auto elettriche avete dovuto fare un mezzo passo indietro o no? L’impressione è che su questo la Lega vi abbia frenati.

“La somma di investimento per gli incentivi per le auto elettriche è identica al punto di partenza. Avevo promesso che non ci sarebbero state tasse per le auto degli italiani e così è. Con l’eccezione dei macchinoni inquinanti che vengono tassati per finanziare l’acquisto con rottamazione fino a 6mila euro di una auto elettrica. Poi bisognerà fare molto di più nei prossimi anni. Tra l’altro come MISE stiamo finanziando un’area di Torino dove la Fiat produrrà la 500 elettrica, portando finalmente anche l’Italia in questa partita.

Restiamo sul tema auto: si guideranno da sole anche in Italia? Quando?

“Lo vedremo molto presto. Intanto alla commissione europea abbiamo detto che non possono discutere degli impatti etici di questa tecnologia in comitati ristretti ma che è necessario aprire la discussione ai parlamenti nazionali. Perché sul tema dell’auto senza guidatore nascerà inevitabilmente un grande dibattito su come debba essere scritto l’algoritmo che dovrà scegliere quali scelte far fare alla vettura”.

Il successo dell’auto che si guida da sola passa anche dall’arrivo di un nuovo tipo di connettività: il 5G. C’è qualche su questo punto nella legge di bilancio?

“Reputo il 5G una legge del contrappasso perché si prende la cosiddetta banda “700” e costringe le tv a spostarsi per far posto a questa nuova tecnologia. E per evitare ricorsi nella legge di bilancio c’è una norma che elimina la riserva di un terzo delle frequenze per le tv locali. In questo modo le tv nazionali avranno lo stesso spazio di prima perché vanno ad occupare le frequenze che le tv locali di fatto non usavano e liberano frequenze per il 5G. C’è stata un’opera di mediazione al tavolo tv del MISE che ha funzionato mettendo d’accordo tutti”.

Qualche giorno fa hanno scioperato Ansa e Aska. Avvernire avrà qualche problema con i tagli all’editoria. Cosa ci dobbiamo dal governo nel 2019 per il giornalismo? 

“Dialogo, sicuramente dialogo. Ovviamente teniamo fede agli impegni che abbiamo preso con gli elettori, ma il nostro obiettivo resta quello di assicurare un graduale disintossicazione dai fondi pubblici, in modo tale possano stare sul mercato come tanti altri soggetti che sul mercato ci sono comunque”.