Con la Riforma il Presidente della Repubblica diventa ostaggio dei partiti

di Aldo Giannuli

Abbiamo lasciato intatto il peso costituzionale del Presidente della Repubblica: FALSO.

Affermazione non falsa ma falsissima, e basti pensare a due momenti particolari: l’elezione del Presidente e la sua messa in stato d’accusa. Per l’elezione l’attuale normativa prevista dalla riforma prevede che il Presidente possa essere eletto con una maggioranza del 60%. Il che, considerati i 730 componenti dell’Assemblea cioè 630 deputati + 100 senatori, significa 430 voti. Ora l’attuale legge elettorale, l’Italicum, già assegna al partito di maggioranza la bellezza di 340 seggi.

Si immagina che nel Senato ci sia una percentuale di senatori di orientamento filogovernativo, è probabile che sia più della metà, ma in ogni caso facciamo un’ipotesi media, immaginiamo che la metà, il 50% sia con il governo. Questo significa 390 voti. Ne mancherebbero 49 al traguardo, ipotesi tutt’altro che difficile da realizzare. Un governo ha molto da offrire, ha molto da offrire alle città in cui per esempio ci sia qualche sindaco senatore, ha molto da offrire per la stessa ragione a regioni particolari dove magari si può tentare di avere il consenso di senatori magari non perfettamente allineati al governo.

Bisogna tener presente che nella maggioranza di 340 non sono compresi i parlamentari eletti all’estero, quindi un’ulteriore quota in qualche modo conquistabile. Ma soprattutto il governo e la maggioranza hanno molto da offrire ad altri partiti o singoli parlamentari, un posto da sottosegretario, da Presidente di Commissione o altre utilità. Ragion per cui rastrellare una cinquantina di voti in questo modo non sembra un’ipotesi assolutamente impossibile, anzi nel complesso la cosa più probabile è che venga eletto un parlamentare o comunque un esponente gradito al partito di maggioranza, con qualche alleato minore. Mentre invece del tutto impossibile è l’opposto, cioè che le opposizioni pur coalizzandosi possano arrivare alla cifra top, pur coalizzandosi e pur godendo di un eventuale defezione di franchi tiratori del partito di maggioranza, a meno che questa defezione non sia particolarmente massiccia. Quindi in primo luogo abbiamo un Presidente che probabilmente sarà frutto di un partito di maggioranza, e quindi di autorevolezza molto ridotta. Ancora peggio è l’ipotesi della messa in stato d’accusa: la Costituzione dice che il Presidente è messo in stato d’accusa a maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento in seduta.

Questo significa che la maggioranza attuale, ottenuta con i metodi del calcolo dell’Italicum, sarebbe in condizioni in ogni momento di mettere in stato d’accusa il Presidente. Certo la messa in stato d’accusa presuppone accuse molto gravi, come attentato alla Costituzione o alto tradimento, però attenzione: si tratta di reati non particolarmente regolamentati, e su cui non esiste una giurisprudenza perché non ci sono precedenti, con il risultato che lavorando in qualche modo successivamente su alcuni comportamenti si può mettere in stato d’accusa il Presidente. Probabilmente assolto dall’alta Corte di giustizia dopo, ma che nel frattempo è costretto a dimettersi perché è impensabile che in stato accusa possa restare al suo posto.

Di fatto questo significa che un Presidente eletto da una maggioranza diversa, o che si dimostri troppo indipendente rispetto al partito di governo, sarebbe un facile ostaggio e un permanente bersaglio di ricatti. Se non è questo un modo per indebolire la figura e il peso costituzionale del Presidente, ditemi voi cos’altro potrebbe essere.