La Svizzera e il referendum per gli stipendi equi

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Domenica 24 novembre in Svizzera si voterà un’iniziativa di legge popolare che intende fissare a 1:12 il rapporto massimo fra lo stipendio dei manager e quello di impiegati e operai, due punti in più rispetto al limite fissato da Adriano Olivetti per la sua azienda. Un principio di equità che suona come un’eresia nel paese di Marchionne, Scaroni e Cancellieri figlio. Ha promosso l’iniziativa il movimento giovanile socialista. Di seguito l’intervista a un suo esponente, Filippo Rivola.” Piero Ricca

Piero Ricca: Filippo Rivola, domenica il popolo svizzero è chiamato a esprimersi sul rapporto fra stipendio massimo e minimo nelle aziende. Come siete arrivati a questa votazione?

Filippo Rivola: L’iniziativa 1:12 è stata lanciata dalla Gioventù Socialista nel 2009. All’epoca vari scandali avevano scosso la piazza finanziaria svizzera. Molte aziende annunciavano dei licenziamenti mentre i bonus per i dirigenti continuavano a salire. Nel nostro piccolo movimento (poco più di 1.000 aderenti all’epoca) è nata quindi l’idea di lanciare questa iniziativa per cercare di far cambiare le cose. Per noi un manager non deve poter guadagnare più di dodici volte quel che percepisce il dipendente meno pagato. Se siamo riusciti a portare questa proposta al voto, è stato grazie all’appoggio del Partito Socialista (i nostri “vecchi“), dei Verdi e dei sindacati. Ma la maggior parte delle firme è stata raccolta dai giovani in strada, davanti alle stazioni, al mercato. All’inizio i partiti di centro e di destra quasi ridevano di noi, pensando che non saremmo mai arrivati alle 100.000 firme necessarie. E invece siamo riusciti a raccogliere 117.000 firme valide in 14 mesi, un exploit per un movimento così piccolo.

PR: Lo scorso marzo, in tema di retribuzioni dei manager era stata sottoposta al voto un’altra iniziativa popolare; quale obiettivo perseguiva e com’è andata?

FR: L’iniziativa “contro le retribuzioni abusive” era stata lanciata da un piccolo imprenditore, Thomas Minder, che aveva rischiato il fallimento a causa del crack della Swissair nel 2001. Scandalizzato dai bonus intascati dai manager dell’ex compagnia aerea, lui aveva deciso d’agire sul fronte dei consigli degli azionisti. In sostanza l’iniziativa conferisce più potere agli azionisti nel determinare le retribuzioni dei top manager. L’iniziativa Minder è stata accettata dal 68% dei cittadini e da tutti i 23 Cantoni. Un vero plebiscito! Noi abbiamo sostenuto l’iniziativa perché va nel senso giusto, però riteniamo che non ponga dei limiti troppi severi e dunque non bisogna farsi troppo illusioni: la maggioranza delle azioni delle multinazionali sono in mano a degli investitori senza scrupoli che non limiteranno mai le retribuzioni dei manager. Un punto efficace resta tuttavia il divieto dei “paracadute dorati“: un manager non potrà più ricevere delle buonuscite milionarie.

PR: Com’è la situazione in Svizzera riguardo al rapporto fra stipendi minimi e massimi nelle aziende?

FR: Oggi la quasi totalità delle aziende svizzere rientrano nello scarto 1:12. Solo lo 0,5% supera questo limite, ma si tratta comunque d’aziende importanti. Per esempio le aziende parastatali come La Posta (1:17) o Swisscom (1:35) superano di poco questo scarto. Ci sono poi aziende importanti come Lindt&Sprungli (che produce cioccolato – 1:76)) o Schindler (ascensori – 1:121), per arrivare fino alle multinazionali come Nestlé, Novartis o UBS. Brady Dougan, il CEO di Credit Suisse arriva a 1:191, Severin Schwan di Roche a 1:261, Orcel di UBS a 1:194. Il tutto mentre in Svizzera il 25% della popolazione non riesce a pagare le fatture per tempo e ci sono più di 400.000 lavoratori poveri. Certo, bisogna relativizzare rispetto ai problemi economici che state vivendo in Italia. Però non è accettabile nemmeno in Svizzera vedere il potere d’acquisto delle classi più povere che si erode anno dopo anno, mentre le retribuzioni dei manager esplodono sempre di più.

PR: Com’è andata la campagna elettorale?

FR: Il problema è sentito dalla popolazione e la campagna per la votazione è stata molto intensa. I nostri oppositori hanno investito almeno 12 milioni di franchi per fare campagna contro di noi con delle pubblicità su ogni giornale, quotidianamente da ormai 4 mesi, senza contare i numerosi manifesti che hanno inondato le strade della Svizzera, ma ormai non ci si fa più caso.
Noi invece facciamo campagna con un budget di 800.000 franchi, contando sull’aiuto della gente. Per esempio abbiamo prodotto più di 30.000 bandiere con il logo dell’iniziativa che sono state appese alle finestre dei nostri sostenitori. Se vi è capitato di passare in una città come Zurigo o Berna negli ultimi mesi le avete sicuramente viste. Non è passato giorno senza che vi sia una notizia sulla 1:12, sulle conseguenze della sua accettazione, su quale politico la sostiene o quale vi si oppone. Comunque vada, siamo orgogliosi di quel che abbiamo fatto.

PR: Se passa il referendum cosa succede?

FR: Se l’iniziativa passa, il Governo deve fare una legge d’applicazione. Il testo dell’iniziativa comporta solo qualche linea guida, perché nella Costituzione vengono inseriti solo i principi. L’applicazione, con tutte le regole, sanzioni, competenze, è definita in una legge specifica, che deve essere votata e approvata dal parlamento. Se il testo proposto sarà troppo moderato o se verranno fatte troppe concessioni abbiamo il diritto di lanciare un referendum: abbiamo 4 mesi di tempo per raccogliere 50.000 firme.

PR: Pensa che la volontà di limitare i maxi-stipendi dei manager possa diffondersi anche in altri paesi, tra i quali l’Italia?

FR: Certo! La Gioventù Socialista spagnola è riuscita a far inserire il principio della 1:12 nel programma economico del PS spagnolo! Da molte altre nazioni ci hanno contattato per chiedere informazioni e per “copiare” la nostra iniziativa. Penso che limitare gli eccessi dei top manager sia un buon modo per evitare l’aggravarsi della crisi e per meglio ripartire la ricchezza generata dal lavoro. Se non facciamo nulla continueranno ad arricchirsi a nostro danno e questa è una cosa inaccettabile. L’iniziativa 1:12 non può risolvere tutti i problemi, ma sicuramente è una pista che vale la pena d’essere esplorata anche in Europa e nel resto del mondo.

PR: In Svizzera si può cambiare la Costituzione attraverso iniziative popolari. Quali sono le regole fondamentali?

FR: Il principio dell’iniziativa popolare è che un gruppo di cittadini può chiedere una modifica della Costituzione. Dal lancio ufficiale dell’iniziativa, i promotori hanno 18 mesi per raccogliere le 100.000 firme necessarie tra i circa 5 milioni d’aventi diritto di voto in Svizzera. Può sembrare poco a prima vista, ma in realtà molte iniziative sono state abbandonate a causa di questa soglia. Solo i partiti più grandi o i movimenti cha hanno potuto contare sull’appoggio di numerosi volontari hanno potuto consegnare le firme in tempo. Dopo la convalida delle firme, il governo prende posizione sulla proposta indicando una preferenza per il si o per il no. Può anche preparare un progetto di legge per soddisfare in parte le richieste dei promotori, ma ciò non è avvenuto per la nostra iniziativa 1:12. In seguito sono le due camere del Parlamento che devono prendere posizione. In ogni caso, queste decisioni di Governo e Parlamento sono solo delle indicazioni di voto per il popolo. Infatti, anche se le due istituzioni si oppongono ad un’iniziativa, essa viene comunque votata dal popolo.

PR: Quale esito è necessario per l’approvazione?

FR: Per essere approvata deve avere la doppia maggioranza: non solo la maggioranza del popolo svizzero deve esprimersi a favore, ma è pure necessaria la maggioranza dei Cantoni (le 23 “regioni” che compongono la Confederazione). Se in almeno 12 Cantoni prevale il sì, allora l’iniziativa è approvata (sempre che anche la maggioranza del popolo sia a favore). È raro che un’iniziativa sia approvata, però negli ultimi anni si è notato un aumento delle proposte accettate. Possiamo citare per esempio quella che limita il numero di residenze secondarie nei comuni delle Alpi per proteggere il paesaggio o un’altra che impone un limite nel traffico dei TIR attraverso le Alpi.