Se non è sicuro non è lavoro

di Gianluigi Paragone

Luca era un ragazzo di 37 anni e aveva un contratto di soli sei giorni. E’ morto schiacciato da un blocco di marmo all’interno di una cava. Anche Salvatore era un trentenne e faceva il barista. Per arrotondare lavorava in nero, nero come il lucernario dove è precipitato mentre puliva un ascensore per 33 euro di paghetta.

E’ doloroso dover fare i conti con la morte aggiornando il pallottoliere dei caduti sul lavoro ma è dovere della politica, e non solo, riflettere se sia corretto, opportuno o definite voi in altro modo, entrare in una cava con un contratto di soli sei giorni. Non possiamo restare appesi alla lotteria della crisi e tentare la sorte di un lavoro che viene assegnato così: questi contratti annientano il lavoratore, resettano la dignità di qualsiasi uomo e di qualsiasi donna.

Non riesco a capire come si possa difendere una intelaiatura giuslavoristica che mostra luce verde alla possibilità di usare un contratto così squallido dentro un cantiere tanto delicato. Sia esso una cava o un luogo di lavoro analogo. La sicurezza sul lavoro non è un tema a parte, è lo stesso tema del lavoro. Il lavoro dev’essere “rimontato” nel suo più autentico significato valoriale. Non possiamo accettare la disintermediazione costante realizzata anche attraverso subappalti gestiti da cooperative di comodo, cooperative che tradiscono la natura della mutualità. Ridare centralità ai lavoratori e al lavoro (ristabilendo che il lavoro non è sinonimo di occupazione) significa anche bucare la rete di cooperative feudali, cooperative dove si tirano a sorte contrattini umilianti e paghe misere!

Nei mesi scorsi avevo parlato con alcuni lavoratori di Fincantieri a Monfalcone, nei prossimi giorni mi confronterò con quelli che girano attorno all’aeroporto della Malpensa: due dei tantissimi esempi di suo improprio della rete cooperativistica, una specie di “tana, liberi tutti!“.
E’ il momento di dire basta e di agire. Lo stiamo facendo e poco importa se dovremo respingere gli assalti di chi ha i giornali e le televisioni dalla propria parte. Chi pensa di imporre la legge del più forte stavolta sappia che non troverà né amici nè compari dalla sua parte. Il decreto dignità è solo il primo importante segnale che arriva dal Movimento e dal nostro ministro Luigi Di Maio; il fatto che qualcuno storca il naso rivela che la lotta alla precarietà fa male.

Agli imprenditori veri faremo pagare meno il contratto a tempo indeterminato: lo faremo perché è giusto in sé ma anche perché costoro si meritano tutto l’appoggio di un governo che premierà le persone per bene.