#ProgrammaEsteri: Riformare la NATO

Oggi parliamo del decimo e ultimo dei dieci punti del Programma Esteri del MoVimento 5 Stelle. Una volta terminata l’esposizione dei punti, si procederà a una votazione online su Rousseau con la quale gli iscritti decideranno le priorità del programma. Informatevi e partecipate: domani dalle 10 alle 19 saranno aperte le votazioni sui dieci punti del programma esteri.

di Avv. Claudio Giangiacomo – Associazione I.A.L.A.N.A. per il Disarmo

Come forse non tutti sanno, nel corso degli anni la Nato ha avuto una trasformazione radicale. Soprattutto nel 1999, col vertice di Washington, si è trasformata da una un’alleanza di tipo difensivo -anche se poi aveva nella politica sia interna che estera di vari Paesi un’influenza notevole, in alcuni casi anche nefasta a mio giudizio- in un organismo che è anche aggressivo.

Con il nuovo concetto strategico l’alleanza infatti ha previsto gli “interventi fuori area”: veri e propri interventi non più di difesa del territorio nazionale degli alleati, ma di intervento in aree geografiche diverse per motivi che vengono individuati come rischi per cui si può intervenire. Atti di terrorismo, di sabotaggio, di crimine organizzato, o anche solo l’interruzione del flusso di risorse vitali per i Paesi membri o per il movimento incontrollato di un gran numero di persone. Questa trasformazione è avvenuta senza che il Parlamento italiano potesse in alcun modo discuterne e in totale contrasto con l’articolo 11 della nostra Costituzione, che prevede che l’Italia ripudi la guerra in tutti le sue declinazioni.

Ma non solo: è anche in violazione degli articoli 72 e 80 della nostra Costituzione. L’articolo 72 prevede infatti che ogni disegno di legge presentato da una camera debba essere esaminato dalla Commissione e poi dalla camera stessa, e che questa procedura ordinaria sia riferita a tutti e si adotti sempre per disegni di legge di autorizzazione a ratifica di trattati internazionali; l’articolo 80 dice che le camere autorizzano con legge le ratifiche di trattati internazionali che siano di natura politica, o prevedano arbitrati, o regolamenti, o comportino variazioni del territorio, ed oneri alle finanze a modificazione di legge.

Malgrado questo, il nuovo concetto strategico che comportava una trasformazione radicale del vecchio accordo Nato è stato approvato con la forma semplificata prevista dalla legge 839 del 1984, cioè senza alcuna discussione parlamentare. E questo è veramente importante, perché in realtà tutto quello che riguarda non solo l’accordo quadro ma la legislazione e la possibilità di mettere basi in Italia, nasce dalla bilateralizzazione di un accordo, l’unico di cui conosciamo solamente il nome: il BIA del 1954. Pur non contenendo nulla di strategico a quello che si dice, tale accordo è rimasto segreto per una ragione abbastanza particolare: perché -come ha affermato l’ambasciatore americano in una delle registrazioni di Wikileaks- altrimenti gli italiani avrebbero potuto fare pressione sul governo affinché si attenesse all’interpretazione restrittiva di questi accordi. Cioè, viene tenuto segreto perché altrimenti gli italiani potrebbero chiedere che venga rispettato, e che quindi per esempio gli aerei per bombardare l’Iraq non partano dalle basi italiane.

Uno degli aspetti importantissimi e di vitale importanza, anche per le comunità che vivono a ridosso delle basi, è appunto il non sapere nulla delle regole che regolano l’andamento della base e chi la controlla, e quanto queste installazioni militari, dove spesso e volentieri vengono utilizzati armamenti all’uranio impoverito, creino danni nell’ambiente. Per esempio sappiamo da molti comitati sardi che in alcune zone della Sardegna, usate per anni come basi militari e come poligono di tiro, abbiamo fenomeni di trasformazione genetica di pecore o di altri animali, e inoltre un aumento di neoplasie legate a questo inquinamento. Non solo: sappiamo per esempio della vicenda in Sicilia, di come il nuovo apparato antimissilistico provochi onde elettromagnetiche di estrema nocività, e questo senza che le comunità locali non solo vengano interpellate, ma non abbiano alcuna possibilità di incidere.